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domenica 12 aprile 2015

Vietato Piangere

Quando non si hanno più lacrime è perchè piange tutto il nostro essere. Gli occhi sono aridi deserti senza oasi, non v'è acqua, non v'è sostentamento. Nemmeno il sole può affacciarsi in questi deserti, perchè manca la luce.
E l'anima brancola nel buio, in una notte senza luna, senza stelle, dove scorrono solo fiumi di lacrime profondi, che scavano canyons, tortuosi e irascibili.
Vortici d'acqua, mulinelli che inghiottiscono tutto ciò che trovano, portando via, sradicando ogni forma di vita del nostro essere. Non ci sono argini, per questo le lacrime non possono cadere dagli occhi. Come fonti senza più acqua, essi diventano opachi e scialbi, senza vita, senza luce.
E' una candela che si spegne piano piano, si consuma, e quella fiamma si fa piccola fino a diventare solo un filo di fumo, lasciando solo l'acre odore della cera.
Ecco perchè non si può piangere, il magone si fa grosso in gola e ti strozza, ti toglie il fiato, fino a farti soffocare. 
Non si può piangere, quando è tutto il nostro essere a farlo.

martedì 7 aprile 2015

Noi e l'Universo

Un punto comune a tutte le religioni è il concetto che chiunque abbia creato l’universo ha pensato che tutte le forme di vita,  possano essere in grado di comunicare tra loro. Magari ci appare come un banale concetto, ma se ci fermiamo a riflettere sul nostro corpo esso è rappresentato da miliardi di cellule presenti in tutti gli organi.


Le cellule stanno in armonico equilibrio tra loro e comunicano continuamente attraverso un contatto vibrazionale, cioè a livello d’energia sottile (mentale) che a livello fisico (somatico),  e non sono mai in contrasto tra loro, ciò avviene solamente quando c’è in corso una malattia degenerativa psicosomatica o tumorale, oppure per ragioni naturali legate all’invecchiamento. Quando stiamo bene tutto è in armonia e in relazione.

Ciò significa che sono l’unità e la cooperazione continua ed ininterrotta del nostro “sistema” che ci permettono di vivere. Partendo da questo concetto possiamo immaginare che l’universo che ospita il nostro corpo ha le medesime leggi: esso infatti non è disposto in maniera casuale e non presenta l’apparente dissociazione dei corpi stellari e planetari. Tutti i sistemi planetari esistenti, galassie e quasar non sono “mai” dissociati tra loro. La nostra galassia subisce “costantemente” gli influssi della vicina galassia d’Andromeda, così come Marte e la Terra si condizionano a vicenda per effetto dei rispettivi campi gravitazionali.

Come la Terra fa parte di un sistema infinito di corpi planetari, così  il corpo fa parte di un sistema quasi infinito di cellule. La creazione e tutte le leggi che la presiedono, è dentro e fuori di noi. Ogni tipo di limitazione che tende a chiuderci,  a ridimensionarci ed a farci vivere in un preciso schema, dovrebbe essere respinta per lasciare spazio al proprio ragionamento.

Non dovremmo mai limitarci e sentirci parte escusivamente di un partito politico piuttosto che di un altro, esclusivamente di una religione piuttosto che di un’altra, esclusivamente di una squadra di calcio piuttosto che di un’altra, ma sentire di appartenere al “tutto”.

Se vogliamo che l’universo comunichi con noi, noi dobbiamo essere  in grado di comunicare con l’universo con la convinzione assoluta e costante di farne parte in maniere integrante. Un cammino che se vogliamo intraprendere deve necessariamente partire dalla coscienza individuale. dice un’antica frase tibetana: l’uno è nell’universo e l’universo è nell’uno.

mercoledì 4 marzo 2015

Osservare, Imparare e Mettere in Pratica

In questo mondo in cui la tecnologia è parte integrante della nostra vita, è necessario essere compententi sotto i più svariati aspetti. In ambito commerciale, scientifico, umanistico e legislativo l'incompetenza può rivelarsi dannosa per la nostra vita e per il nostro futuro. Abbiamo sempre avuto la tendenza a controllare la nostra vita e il nostro destino, e il controllo che abbiamo via via sviluppato sull'ambiente che ci circonda è una prova della nostra abilità a sviluppare competenza. Per essere competenti è neccessario osservare, studiare e fare pratica. Tre pratiche da vedere nel dettaglio.


Osservare: vedere ciò che noi stessi vediamo, non quello che qualcun altro ci dice di vedere. Guardiamo direttamente le cose, la vita e gli altri, senza ombra di pregiudizio, paura o interpretazioni altrui. Grazie all'osservazione si possono smontare menzogne, simulazioni, si possono risolvere enigmi. Quando ci troviamo di fronte a cose confuse o apparentemente intricate, fermiamoci e guardiamo, a volte un semplice soffermarsi a guardare rende le cose ovvie e di conseguenza si può trovare la soluzione ad alcuni problemi. La vera competenza è basata sulla capacità di osservare, una condizione che può darci sicurezza e abilità.

Imparare: il processo dell'apprendimento consiste nell'esame dei dati disponibili, separando il falso dal vero, l'importante dal non importante, arrivando così a trarre e mettere in pratica delle conclusioni. Se si accettano ciecamente fatti o verità che non ci sembrano veri o che ci appaiono falsi solo perchè ci viene detto di fare in un certo modo, l'esito di ciò che facciamo può essere negativo. E' pur vero che una parte dell'apprendimento comporta la memorizzazione di alcune regole, ma anche in questo caso bisogna sapere a cosa serve il materiale, come e quando usarlo. Imparare non singifica semplicemente accumulare dai su dati, ma nell'acquisire nuove nozioni  e scorprire nuovi modi per fare le cose. Solo gli arroganti sono convinti di non aver nulla da imparare, quindi sono ciechi e pericolosi.

Far pratica: l'istruzione dà i propri frutti quando viene messa in pratica. Qualsiasi attività, abilità o professione va messa in pratica e questo avviene con il costante esercizio. Perciò abilità e destrezza devono essere portate ad un ritmo adeguato all'epoca in cui viviamo. Si può essere più o meno portati per alcune attività ma è la pratica che ci fa diventare talentuosi. Osservare, imparare, capire e fare è questo alla fine che ci rende migliori.


domenica 18 gennaio 2015

Adempiere agli obblighi

Nella vita abbiamo diversi obblighi a cui far fronte. Abbiamo dei doveri da espletare e man mano che la vita segue il suo corso si accumulano ulteriori obblighi, verso altre persone, amici, società e anche verso il mondo. Ciò che invece siamo usi fare è cercare di scrollarseli di dosso, ma tenendo presente grazie al nostro egoismo, quelli che gli altri hanno nei nostri confronti.

Che siamo bambini o adulti quello che dovremmo fare è cercare di far fronte ad essi nel modo migliore, anche perchè gli obblighi si accumulano comunque. Il peso dell'obbligo può essere un fardello molto pesante quando una persona non trova modo di alleggerirsene. Può provocare turbamenti individuali e sociali di ogni genere.


E' possibile aiutare una persona che si dibatte fra debiti e obblighi inadempiuti, esaminando tutti gli obblighi sociali, morali o finanziari in cui è incorsa e che non ha ripagato, trovando un modo per ricambiare tutti quelli che considera ancora dovuti. Si devono accettare i tentativi di un bambino, o di un adulto, di adempiere agli obblighi non finanziari che considera dovuti: si dovrebbe aiutarli a raggiungere un qualche accordo accettabile da entrambe le parti per saldare quelli finanziari.

Non è bene assumersi più obblighi di quanti sia realmente possibile adempiere o soddisfare, quando una persona è schiacciata dal peso degli obblighi che le sono dovuti o di quelli a cui lei stessa non ha adempiuto, le è preclusa una parte della felicità.

sabato 17 gennaio 2015

Essere degni di fiducia

Se non si può aver fiducia in coloro che ci circondano la nostra vita può risentirne. La fiducia reciproca è alla base delle relazioni umane e senza di essa crolla tutta la struttura. Essere degni di fiducia è una gran virtù da tenere in grande considerazione, e chi la possiede può essere considerato una persona di valore.


Si dovrebbe dimostrarla e guadagnarla. Così ad esempio quando si fa una promessa o un giuramento si ha il dovere di mantenerli. Se si dice che si farà qualcosa, lo si deve fare, se si dice che non la si farà non la si deve fare. La stima che si ha di una persona è basata, in gran parte, sul fatto che mantenga o meno la parola, sulla sua coerenza. Anche i genitori perdono il loro valore di fronte agli occhi de i figli quando non mantengono una promessa.

A coloro che mantengono la parola spesa si concede fiducia e ammirazione. Per quanto mi riguarda,  a chi viene meno alla propria parola io non concedo un'altra possibilità. Del resto chi tiene questo tipo di comportamento può spesso trovarsi invischiato in "garanzie" e "limitazioni" a cui non può poi far fronte, ed è questa la strada per per esiliarsi dal prossimo.

Non si dovrebbe permettere ad una qualunque persona di spendere la propria parola alla leggera, ma insistere affinchè mantenga ciò che ha promesso. La vita può diventare facilmente molto confusa se cerchiamo di unirci a persone che mantengono le loro promesse.  La strada della vita è molto più bella da percorrere con persone fidate.

venerdì 16 gennaio 2015

Prendersi cura di se stessi e dell'ambiente

A volte non ci rendiamo conto di quanto la cura del proprio aspetto sia importante, perchè nonostante tutto sono moltissime le persone che ci giudicano proprio da questo. Sebbene molti abiti possano essere costosi, il sapone e altri prodotti per la cura personale non sono poi inarrivabili.

Sarebbe opportuno avere un minimo di rispetto per se stessi. Ci si può sporcare facendo esercizio fisico o lavorando, ma questo non esclude il fatto che poi ci si rimetta in ordine. Eppure ci sono persone che pur grondanti di sudore mantengono un buon aspetto senza apparire trasandate. Insomma parliamoci chiaro. un ambiente deturpato da persone in disordine può avere un effetto leggermente deprimente sul morale. Guardiamoci più spesso allo specchio e cerchiamo sempre di mantenere il nostro aspetto in ordine e pulito anche il nostro morale ringrazierà.


Allo stesso modo ordine e pulizia dovrebbero appartenere anche all'ambiente in cui viviamo o lavoriamo, essere particolarmente disordinati fa apparire l'ambiente intorno a noi come un luogo a cui non apparteniamo o in cui non ci troviamo bene: le stanze, i luoghi di lavoro, i veicoli dovrebbero essere almeno decenti, altrimenti potremmo comunicare il messaggio che disprezziamo ciò che abbiamo.

Il disordine provoca disagio anche agli altri, e a molto vale l'educazione ad organizzare i propri spazi, se lo si insegna ad un bambino, costui diventerà un adulto che ha cura delle proprie cose e ne terrà di conto. Personalmente sono infastidita da coloro che dopo aver preso un oggetto ed averlo usato non lo rimettono a posto, è una mancanza di rispetto nei confronti di chi invece si preoccupa di riporlo là dove lo ha preso, affinchè esso sia fruibile anche ad altri. Un po' di tempo investito nell'organizzarsi può dare come risultato un lavoro accelerato e non è uno spreco di tempo.

Se si vuole proteggere le proprie cose e i propri spazi facciamo in modo che gli altri abbiano cura delle loro. Questo concetto vale nel piccolo ma possiamo traslarlo anche alla cura che dovremmo avere nei confronti del nostro pianeta: in realtà ognuno di noi ne possiede una parte e come tale dovremmo prendercene cura. Il risultato infatti è che la nostra Terra si sta deteriorando per quell'indiscriminato sfruttamento a cui l'abbiamo sottoposta senza rispetto alcuno del luogo che ci ha dato la vita e che ci fornisce gli elementi per vivere.

La cura del pianeta comincia con il cortile di casa nostra, si estende alla zona che si percorre per andare a scuola e al lavoro, comprende i posti dove si va a fare un pic nic o dove si va in vacanza. Magari invece di contribuire ad aumentare la sporcizia e l'inquinamento potremmo piantare un albero. E in questo senso la tecnologia non manca, le iniziative sono tante e con l'impegno personale si può fare molto, anche solo coinvolgere altri a diventare più consapevoli.  Si tratta del posto in cui viviamo.

giovedì 15 gennaio 2015

Il regno dell'illegalità

Cosa sono gli atti illegali? Sono azioni proibite dalla legge o da regolamenti emessi dai corpi legislativi dei governi e sottoscritti in forma di codici legali. Ogni membro della società ha la responsabilità di sapere che cosa si intende per atto illegale. Ma sappiamo tutti che atto illegale non è disobbedire ad un ordine qualsiasi come ad esempio: "Fai i compiti" o "Vai a letto".

Per atto illegale di solito si intende un'azione che, se commessa, può provocare una punizione da parte degli organi preposti a questo, cioè i tribunali o addirittura dello stato. Quando si commette qualcosa di illegale, piccolo o grande che sia, si indebolisce il nostro modo di essere, perchè tutte le le cose di valore che cerchiamo di realizzare possono essere fatte in modi perfettamente legali.


Il percorso illegale è una scorciatoia, comoda, ma pericolosa, a fronte  di vantaggi che sappiamo possono poi ritorcersi contro di noi. Questo in teoria e in uno stato dove l'illegalità viene punita, oggi come oggi di fronte alla realtà che viviamo, sembra che le cose si siano ribaltate. Ma la riflessione di oggi è a favore della legalità e non dell'illegalità.

Stato e governo potremmo dire che sono macchine non pensanti, il loro lavoro si svolge su codici e leggi e il loro scopo è quello, sempre in teoria, di annientare, attraverso i propri canali, l'illegalità e quindi possono rivelarsi nemici implacabili e inflessibili in materia di atti illegali.  Il fatto che una cosa sia giusta o ingiusta di fronte a codici e leggi non conta molto, contano le leggi. Quando ci rendiamo conto che le persone intorno a noi commettono atti illegali, sarebbe nostro dovere fare del nostro meglio per farle desistere. Anche perchè in alcuni casi, il loro operare potrebbe indirettamente coinvolgere anche noi. Ma spesso questo non induce ad essere onesti bensì ad imitare chi persevera nell'illegalità per ottenere quei vantaggi o presunti meriti, che l'onestà non paga.

Sarebbe invece nostro dovere assicurarsi che tutti, a partire dai bambini, acquisissero la conoscenza di ciò che è legale e di quello che non lo è. Coloro che commettono "reati" anche quando la fanno franca, si pongono in una ben misera condizione morale ma ad oggi la fanno da padrone, e vengono presi ad esempio invece che biasimati. Quanto sarebbe bello che tutti aderissimo al principio che si è uguali di fronte alla legge, un principio che, anche in nel lontano momento stodico dell'epoca tirannica dell'aristocrazia, fu uno dei più grandi avanzamenti sociali nella storia umana e non dovrebbe essere dimenticato.

mercoledì 14 gennaio 2015

Dare il buon esempio ed evitare le false informazioni

Anche se inconsapevolmente, noi influenziamo molte persone, e questa influenza può essere buona o cattiva. Se fossimo capaci di vivere seguendo queste semplici regole saremmo in grado di dare un buon esempio e riusciremmo nel nostro piccolo ad influenzare chi ci circonda. Tutti quelli che ruotano intorno a noi che lo ammettano o meno sono influenzati dal nostro comportamento.

Chiunque tenti di dissuaderci dal tenere il giusto comportamento: o vuole danneggiarci, oppure ha secondi fini, questo significa che suscitiamo in lui una qualche forma di rispetto perchè ne abbiamo attirato l'attenzione, mantenendoci costanti e coerenti con noi stessi e con i nostri valori morali. Perseverando in questo intento e se pur lentamente, potremmo avere una qualità di vita migliore, poichè nel tempo la nostra influenza può indurre gli altri a seguire il nostro esempio.


Non dovremmo mai sottovalutare l'effetto che possiamo avere sugli altri, parlando o mostrando concretamente il nostro modo di fare. Per contro chi ci circonda può in qualche modo mentirci e  indurci a commettere errori, la falsità di alcune informazioni può provenire da molte fonti: scuola, società, professione, media. Del resto lo sappiamo molto bene, sono in tanti a volerci indurre a credere delle cose perchè questo serve ai loro scopi.

Nessuno ha il diritto di costringerci ad accettare dei dati o di ordinarci di credere ad una cosa per forza. E' sempre bene riflettere sulle cose per proprio conto. Non c'è infelicità maggiore di quella di chi cerca di vivere in un caos di false informazioni.

martedì 13 gennaio 2015

Aiutare e rispettare i propri genitori

Non sempre noi figli comprendiamo i nostri genitori, a volte ci risulta essere un compito difficile. E' anche normale, le differenze tra generazioni sono palesi, ma questo non deve concretizzarsi in un ostacolo. Quando si è deboli non dobbiamo commetter  l'errore di rifugiarci in bugie e sotterfugi, perchè son questi che creano le barriere alla comunicazione e alla comprensione.

Noi figli possiamo ricucire la diversità di vedute con i nostri genitori. La lite o lo scontro possono essere evitati se ci si impegna a parlare tranquillamente, perchè se come figli siamo sinceri e onesti il nostro appello non può che arrivare a meta. Del resto si può giungere ad un compromesso che può star bene ad entrambe le parti e su cui si può essere tutti d'accordo.


Andare d'accordo con gli altri non è certo facile ma per lo meno potremmo impegnarci a farlo. Non possiamo non tener conto del fatto che i nostri genitori agiscono in base al desiderio di fare ciò che secondo loro è il meglio per noi figli (tranne casi eccezionali naturalmente). Da parte nostra abbiamo un debito verso i nostri genitori: l'educazione che abbiamo ricevuto, se i genitori ce l'hanno data.

I nostri genitori, o per lo meno la gran parte, non accetta ricompensa alcuna per ciò che hanno fatto per noi, ma arriva il momento in cui tocca a noi prenderci cura di loro. Qualunque cosa accada, dobbiamo ricordarci che i nostri genitori sono unici e come tali dobbiamo rispettarli e aiutarli, a prescindere da tutto. Del resto fa parte della felicità che tanto cerchiamo, essere in buoni rapporti con loro o con coloro che ci hanno allevato con amore.

lunedì 12 gennaio 2015

Amare e aiutare i bambini

I bambini di oggi diventeranno la civiltà di domani, quindi mettere al mondo un bambino oggi è lo stesso che gettarlo in una feroce arena. Essi non sono in grado di padroneggiare il loro ambiente e hanno bisogno di amore e aiuto per potercela fare nella vita perchè non hanno alcuna reale risorsa. L'argomento non è facile, anche perchè le teorie sul modo di allevare o non allevare i figli sono numerose quanto i genitori stessi.

Ma farlo nel modo sbagliato può creare non pochi problemi o addirittura sofferenza, del resto si sa, ci sono quelli che vogliono allevare i figli nel modo in cui sono stati allevati loro, altri che invece fanno l'opposto, altri invece son dell'opinione che i figli crescano da soli. I bambini sono come fogli bianchi su cui si deve ancora scrivere, ma se su questi fogli si scrivono cose sbagliate, egli dirà o farà cose sbagliate.


E' enormemente sbagliato cercare di comprare un bambino sommergendolo di giocattoli o regali, o soffocarlo nel tentativo di proteggerlo, i risultati possono essere disastrosi. Bisogna pensare cosa vorremmo che il bambino diventasse. E questo può dipendere da diversi fattori: ciò che il bambino può diventare in base alle sue innate capacità e personalità; ciò che il bambino stesso vuol diventare; ciò che si vuole che il bambino diventi; le risorse disponibili.

Al di là del prodotto di questi fattori quello che conta è che il bambino acquisisca fiducia in se stesso e abbia un livello morale molto alto, altrimenti il risultato sarà piuttosto rischioso. Un bambino non può vivere bene e a lungo se non viene indirizzato sulla strada della sopravvivenza e la società odierna è fatta apposta per far fallire un bambino.

Essere amici dei bambini è una delle chiavi che può aiutarli a risolvere i loro problemi di tutti i giorni senza annientare le soluzioni da loro proposte, ma aiutarli a risolvere. I bambini vanno osservati, vanno ascoltati, è questo il loro modo di aiutarci, è il modo per una reciproca e profonda comprensione. I bambini non stanno bene senza amore perchè loro ne hanno tantissimo da dare.

Ecco perchè dovrebbe essere  un nostro preciso dovere amare e aiutare i bambini sulla via della felicità, dalla prima infanzia fino alle soglie dell'età adulta.


venerdì 12 dicembre 2014

A NATALE PUOI, E GLI ALTRI GIORNI? ABBIAMO TUTTI LA GIUSTIFICAZIONE A NON FARE?

Sono già alcuni giorni che mi frulla in testa il jingle di una nota pubblicità natalizia che i media ci propinano già da qualche anno e che dice pressappoco così: "A Natale puoi, fare quello che non puoi fare mai, a Natale si può fare di più...". Io non guardo quasi mai la televisione e le informazioni le reperisco benissimo da altre fonti che non siano i cristalli liquidi. In ogni caso le note di questo jingle si sono insinuate nella mia testa e da esse è scaturita una riflessione preceduta da una domanda.

Ma che tipo di messaggio si cela dietro queste parole? Complimenti vivissimi al team che le ha composte, abili manipolatori di menti poco inclini alla riflessione. Dunque fatemi capire, il Natale sarebbe occasione gradita per fare delle buone azioni e gli altri 364 giorni dell'anno abbiamo l'esonero e la giustificazione? Che significa? Che a Natale togliamo la polvere all'indifferenza, al menefreghismo, all'egoismo, all'interesse personale e apriamo per un giorno gli occhi sul mondo che è oltre la cortina di sudiciume che ci ricopre l'anima?


Ma qual'è il concetto vero del tanto decantato spirito natalizio? Quale il vero significato? Non certo il messaggio che arriva dal suddetto jingle, spirito natalizio è qualcosa di molto più grande, nel senso lato del termine, una disciplina interiore da praticare con costanza ogni giorno della nostra vita. Non ci sono esoneri nè giustificazioni, non esiste un giorno dedicato, nè con un giorno a tema si paga un obolo e poi ci ritiriamo nel nostro castello tirando su il ponte levatoio, lasciando fuori tutto il resto. Per lo meno non lo è per me.

Sono cresciuta con un concetto diverso, di sicuro non quello del "a Natale puoi, a Natale si può fare di più", si fa e basta, ogni giorno senza necessità di capitali in banca, o cospicue donazioni, si tratta di piccoli gesti. Penso ad esempio al fatto che ogni mattina al risveglio possiamo accogliere i nostri cari con un sorriso, invece che con il viso lungo e quegli imbarazzanti silenzi che molti deifniscono "l'ora di comporto". Non ci vuole molto a muovere la muscolatura facciale.

Durante il giorno sono tante le occasioni che possiamo cogliere, al supermercato cedere il posto in fila alla casa a chi ha solo due o tre cose nel carrello, su un mezzo pubblico lasciare il posto ad una persona anziana che fa fatica a mantenersi in equilibrio, perchè magari già si appoggia ad un bastone. Offrirsi di andare a prendere un amico perchè è rimasto senza macchina, dare un passaggio sotto l'ombrello a chi è stato colto dalla pioggia senza riparo alcuno per un piccolo tratto di strada.

Andare a fare la spesa senza che ci venga chiesto, accompagnare un conoscente ad una visita specialistica perchè non ha nessuno, portare un fiore ad un convalescente, dedicare un po' del nostro tempo a chi è solo, portare una scatola di croccantini alla comunità felina, una vecchia coperta al canile, conservare le briciole di pane per gli uccellini. Sedersi ed ascoltare per dare la possibilità agli altri di esprimere se stessi, essere sinceri. Questo per me è lo spirito natalizio, non certo ritrovarsi tutti sotto uno stesso tetto per una giornata fra falsi sorrisi e qualche pettegolezzo nei confronti di chi poi per tutto il resto dell'anno ignoriamo dimenticando che esiste.

Spirito natalizio non significa fare buon viso a cattivo gioco, tanto è solo per poche ore, che razza di immagine diamo di noi stessi? Non è meglio mettere le carte in tavola? Anzi forse dovremmo approfittare una buona volta di questo giorno di riunione e ringraziare di aver la possibilità di trovarsi di fronte tutti per far chiarezza e far della chiarezza un pilastro della nostra vita. Non è con un jingle che si cambiano le cose, nè con un jinlge si dà una svolta alla nostra esistenza, è con un costante lavoro quotidiano che si apportano dei cambiamenti, non basta un giorno, ci vuole una vita intera.

martedì 9 settembre 2014

I VACANZIERI SELVAGGI

Quando organizzo un viaggio di qualche giorno per andare in vacanza (tempi lontani ormai), preparo in anticipo il mio bagaglio per evitare di dimenticare a casa qualcosa che mi potrebbe servire. Per far sì che nella mia valigia non manchi nulla, faccio in anticipo una lista di ciò che devo portare, partendo dalla biancheria, fino ad arrivare ai piccoli medicinali.

Cerco anche di considerare il tempo di permanenza in modo da poter scegliere con criterio anche la mia valigia, o quella più piccola o quella più grande. In questo modo calcolo anche lo spazio che essa occupa e il suo peso se devo spostarmi in treno o aereo.


Mi pare però che la gran parte della gente questi semplici pensieri non li faccia affatto, e l'ho potuto constatare in anni di osservazioni varie. Dato che vivo in un posto di mare, di gente che arriva e che va ne vedo e ne ho vista tanta, ma potrei dire che tutti hanno un punto in comune: una totale mancanza di organizzazione ed educazione. Nel mio palazzo molti sono gli appartamenti che vengono affittati nei mesi estivi e ciò che vedo è a dir poco sconvolgente.

E qui scatta un appello. Se avete i budget per andare in vacanza, perchè prima non vi comprate una valigia? Arrivate carichi di almeno venti borsine di plastica da supermercato dove avete raffazzonato la vostra roba, che spargete nell'androne del palazzo costringendo chi vi entra a fare un percorso ad ostacoli per passare o peggio fate inciampare le persone.  Nel frattempo pensate che, dato che voi siete in ferie, potete dire addio anche ad un civile comportamento, lasciando il portone aperto e prendendovi anche la briga di sgangherarlo, tanto non è vostro. Lo stesso vale per gli ascensori, vi ci pigiate in cinque o sei mandandoli fuori piano, ma a voi che importa?

Lasciate passeggini, canotti, ciambelle, borse con giochi sparse ovunque insieme a tonnellate di sabbia, e non contenti sporcate i pavimenti dei pianerottoli perchè voi il sacchetto della spazzatura non solo non lo chiudete, ma chissà come, lo bucate, facendo sì che i contenuti liquidi si spargano ai piani, negli ascensori, per le scale. Tenete le porte delle case aperte perchè dovete far uscire fuori i fumi di cucina, ma ricordate, ci sono le finestre e i finestroni.

Siccome voi siete in ferie e la mattina ronfate di brutto, è normale zoccolare sulla testa delle persone alle due di notte, spostando sedie e mobili come se doveste fare un trasloco intercalando con urla di ogni genere e tipo, magari sotto i vostri piedi qualcuno cerca di dormire perchè al mattino deve andare a lavorare...Per non parlare dei cori che fate fuori e sotto il palazzo, nei quali si ravvisano parolacce e bestemmie, cocci di vetri rotti e canzoncine di dubbio gusto.

Vorrei anche capire perchè non avete con voi nemmeno un pacchettino di cerotti, bivaccate in farmacia, siete intere tribù  spesso scalzi, senza nemmeno le ciabattine ai piedi, in bikini o boxer, sudaticci e spesso puzzolenti (magari lavatevi). Vi lamentate di funghi e verruche, ma a casa ve l'hanno insegnato a mettervi le scarpe, gli zoccoli, o altri tipi di calzature invece di camminare a piedi nudi su asfalto e pistrellati pieni di sudiciume? Avete mai pensato di portarvi da casa una buona protezione solare e qualche stick o pomata per le punture di insetti? Ah, capisco non potete pensare anche a questo, allora ditemi, a che pensate?

Ecco lo so io a cosa pensate: a lasciare le macchine in doppia e tripla fila, a insudiciare e spaccare gli interni delle case che avete affittato perchè cavolo, dite così, avete pagato un botto. Confusione è la vostra parola d'ordine, e quando non fate casino vi ingozzate mangiando per la strada, mentre camminate, con le bottiglie di birra in mano, sputazzando qua e là. Vi sedete su marciapiedi e scalini, vi  troviamo sdraiati in pineta, dove fra l'altro lasciate ogni tipo di ricordino, e a Ferragosto vi munite di secchi, secchielli e palloncini che con cura riempite d'acqua e poi tirate a tutti quelli che passano in spiaggia e non, altrimenti come si fa a divertirsi?

Trovo che vi si addica molto una esclamazione dell'imperatore Caligola: "Utinam populus Romanus unam cervicem haberet", cioè "Come vorrei che il popolo romano avesse una sola testa (per decapitarlo in un colpo solo)".

sabato 6 settembre 2014

GLI UNTORI DEI SUPERMERCATI OVVERO ASSAGGIO SCONFEZIONAMENTO

Ed eccomi di nuovo qui, a dare seguito al post di ieri in cui ho espresso il mio disappunto nei confronti della maleducazione perpetrata all'interno dei supermercati. Fra le varie categorie di persone maleducate che vi si possono incontrare mi ero totalmente dimenticata di uno speciale gruppo che io definisco "gli untori".

Con il termine untori si definivano coloro che ammorbavano di peste intere popolazioni, ma in questo caso specifico per me sono coloro che, nei supermercati, utilizzano le loro mani a piovra per smarmicciare tutto. Si aggirano in ogni corsia, davanti ai banchi di frutta e verdura, a quelli della carne e del pesce e lì iniziano il loro instancabile lavoro.


Prendiamo i banchi di frutta e verdura: i nostri untori lavorano alacremente a maturare la frutta ammaccandola in vario modo o addirittura assaggiandola, quella che contribuiscono a maturare però poi non la comprano ma la lasciano in dotazione agli altri, quella che assaggiano appare invece semisbucciata, nel caso dell'uva si trovano ad esempio grappoli semi vuoti o addirittura i raspi, nelle cassette delle ciliegie noccioli, in caso di albicocche alcune metà e così via.

Lo stesso vale per la verdura, che appare defogliata, come i cesti d'insalata, i finocchi, i carciofi, anzi a molti cadono a terra e le reazioni sono due: o vengono lasciati a terra o raccolti e riposti nella cassetta ad uso e consumo di altri.

Passiamo alla carne confezionata: decine di mani che prendono le confezioni con i vari tagli di carne che vengono tastati a più non posso fino a creare un bel buco nella confezione e per tal ragione rimessi al loro posto per passare ad un'altra confezione. Ci sono stati casi di persone che hanno aperto la confezione e hanno messo il pezzo di carne in tasca (l'ho visto con i mei occhi). E la catena continua nella zona pescheria, dove i più tocchicciano il pesce fresco per assicurarsi che sia fresco davvero, che controllano cozze e vongole, alici e rane pescatrici, polpi e seppie.

Poi si passa allegramente alla roba confezionata, e parlo di mozzarelle fatte a pezzi, salumi confezionati semiaperti, forme o pezzi di fomaggio scartati, yogurt sbafati a ufo, latte bevuto fresco. Per non parlare di quelli che rompono i biscotti, spezzano pasta, rovesciano zucchero, mangiano patatine e poi lasciano la confezione sullo scaffale, si prendono solo qualche bustina di tè invece che l'intera confezione, qualche saccottino per uno sputino o i cioccolatini perchè non è fame, ma più voglia di qualche cosa di buono.

Questo è ciò che fanno molti senza rispetto alcuno per chi tiene sempre un comportamento corretto ed educato dimostrando agli altri le semplici regole del vivere civile.





martedì 2 settembre 2014

GLI STABILIMENTI BALNEARI: IL CONVEGNO DEI CERVELLI MINCHIA

Sono anni che non frequento gli stabilimenti balneari poichè non amo gli affollamenti umani sulle spiagge, ma questo è stato un anno particolare, e per andare incontro alle esigenze di mio nipote Leonetto, è stato necessario usufruire di attrezzature più consone alle sue esigenze.

Perciò sono approdata nuovamente agli stabilimenti. Niente da dire sulle strutture e sui servizi, con spazi appositi per i passeggini, docce e bagni, bar e ristorante, ma il trauma che mi hanno procurato le persone me lo sono dovuto metabolizzare.


Son terreni fertili per studi sociali in cui immergersi per capire dove stiamo andando a finire. Continuo a ripetermi che il terzo millennio non è l'epoca che fa per me, e parlo di mentalità, di mode, di cultura, di educazione, tutti aspetti della vita che sono tanto importanti quanto calpestati.

Giungo in spiaggia e sistemo i miei effetti personali presso l'ombrellone, sistemando tutto l'occorrente per mio nipote, ma mi sento osservata, e quindi, dietro i miei occhiali da sole, scruto tutto intorno e vedo gruppuscoli di bagnanti che ridacchiano della mia quasi inesistente abbronzatura, mentre si guardano compiaciuti un colorito di cui vanno fieri, ma che mette in risalto solo una pelle esposta nella maniera sbagliata al sole.

Rinnovo la protezione solare e, dal vicino ombrellone una signora di una certa età mi dice: "Se continui a usare codesta crema solare non prendi nemmeno un raggino di sole". Calo un attimo gli occhiali sulla punta del naso, la guardo. Non c'è stato fra noi alcun verboso scambio di parole, forse perchè l'energia del mio pensiero le è arrivata dritta dritta a rimbombare nella sua scatola cranica ormai vuota: " Signora, pensi alla sua pelle ormai distrutta, al suo ridicolo bikini tigrato, ai suoi cinquemila braccialetti e a quel tatuaggio che ha sulla spalla, ormai in declino come tutto il suo corpo, che lei vuol imporre alla mia vista come se fosse quello di una ventenne".

Porto mio nipote a sgambettare nell'acqua,  e sul più bello, mentre ci diverdiamo un mondo a fare i passettini sulla riva,  ecco l'amica della signora tigrata, che sfoggia una chioma rosso fuoco, un rossetto in tinta, un ombretto verde acqua che avrebbe spaventato anche Diavolozoppo e una cavigliera che (perdonatemi), si trovava su una gamba la cui muscolatura non esisteva più da tanto tempo e mi si piazza davanti. Cerco di aggirarla, ma nulla, lei si sposta, allora le giro le spalle e cerco di portare mio nipote altrove.

La sento aumentare il passo, sciacquettando,  mi si affianca e mi chiede: "Ho notato che ha una cicatrice sulla schiena, che ha fatto?". So di essere introversa, e nella mia introversione ci sto come un papa intronato, ma a lei signora che cavolo gliene frega se io ho una cicatrice sulla schiena?  Per caso io sono venuta  a chiederle perchè lei assomiglia ad uno scaldabagno vestito da zebra?

Prendo in braccio mio nipote stando attenta ad usare le ginocchia e non la schiena, la guardo e le rispondo: "E' evidente signora che ho avuto un intervento, necessita di altre informazioni?". Credevo avesse colto le sfumature sottintese, ma mi sbagliavo. Rincuorata dalla mia risposta ha continuato:
"Le ho visto fare una smorfia di dolore mentre camminava"

Se non ci fosse stato mio nipote, probabilmente l'avrei colpita con un pugno, così da farle ottenere gratuitamente l'intervento del giovane bagnino dietro al quale sbavava, ma conscia del fatto che i bambini sono attenti agli esempi che diamo loro, e che l'educazione viene prima di tutto, ho scartato questa ipotesi, ho respirato a lungo e poi ho risposto: "Vedo che non riesce a farsi gli affari suoi signora, quindi sarò breve: purtroppo il dolore me lo porterò dietro fino alla tomba, contenta?"

Indi mi sono avviata all'ombrellone credendo di trovare un po' di pace e di poter giocare con il mio adorato Leonetto, ed invece no, forse c'era stato un passaparola, o forse mi trovavo nel paese del pettegolezzo imperante, perchè dall'ombrellone difronte, ecco affacciarsi un'altro alto intelletto che non potendosi trattenere: "Con quegli occhiali che le coprono mezza faccia non riuscirà ad avere un colorito unifome sul viso".

Ma dove ero capitata, al convegno dei cervelli minchia? "Crede che sia troppo per lei farsi una palata di affaracci suoi?" rispondo tappando le orecchie a mio nipote. Silenzio di tomba. E finalmente, ho turato quei buchi dentati ricoperti di melanina.



giovedì 7 agosto 2014

L'APERICENA

Qualche giorno fa sono stata invitata all'inaugurazione di una bella terrazza sul mare, collocata all'interno di una folta pineta. Un location (oggi si dice così) davvero splendida. Non sono una grande amante della vita mondana, ma non ho proprio potuto rifiutare.

Per l'inaugurazione, la gestione aveva deciso di dar vita ad un apericena (altro termine che poco tollero) e relativa serata musico-danzante, rallegrata dalla presenza di un noto Dj della zona.
Così, eccomi in loco, ad ammirare un bel tramonto sul mare, con un cielo incendiato di rosso e il mare lievemente increspato dalla brezza serale. Mi trovo di fronte una piattaforma in legno piuttosto grande su cui erano stati sistemati divanetti bianchi in stile essenziale e piccoli tavolini scuri.

La postazione del Dj era già stata preparata e intanto l'aria intorno risuonava di canzoni anni '80. Poco distante dall'area musicale era stato approntato un lungo tavolo, pronto ad accogliere le "future" vettovaglie, che avrebbero dovuto rallegrare gli stomaci degli ospiti, poco più accanto un piccolo bar, cui lavoravano alacremente alcuni addetti alle bevande (attenzione, rigorosamente a pagamento, prendi e porta a casa).


Ad una prima occhiata mi sono accorta che i presenti manifestavano un certo nervosismo, quando sarebbe arrivata "pappatoria"? Nessuno lo sapeva, forse il fotografo, ingaggiato per l'occasione, che si aggirava tra i pochi presenti elemosinando sorrisi.
Voltavo le spalle al tavolone, perchè mi ero soffermata a parlare con alcuni conoscenti, quando d'improvviso, mi son ritrovata sola.

Beh? Mi son voltata cautamente, e cosa vedo? Un'orda di locuste affamate che si affollano al tavolone, spinteggiandosi, pestandosi, strattonandosi per accaparrarsi il contenuto di alcuni vassoi. Riesco solo a percepire che l'orda barbarica non si è nemmeno preoccupata di utilizzare le posate di servizio, ognuno usava la propria forchetta per infilzare il cibo e mangiarlo in piedi davanti al tavolone, così, direttamente dal vassoio. Pochi fugaci secondi e tutto ciò che era rimasto era una stanca, esamine patatina, sfugitta ai denti di qualcuno.

Nella mia mente un pensiero lampo: "Dovevo portarmi la "panierina" da casa....". Nel frattempo le locuste si erano lievemente allontanate per sedersi nei pressi, in attensa del secondo round, qualcuno intanto, meno inferocito, si scaldava per il ballo.

Ho messo in atto una strategia per cercare di prevenire gli orchi e vedere di mettere qualcosa nello stomaco, maledicendo la mia educazione nell'accettare l'invito. Così, con aria trasognata mi sono avvicinata a piccoli passi al tavolone facendo finta di prendere un tovagliolo di carta ( i tovaglioli erano intatti, nessuno li aveva toccati).

La strategia ha funzionato, infatti al secondo round mi sono trovata da lato giusto, quello da cui i vassoi venivano velocemente appoggiati sul tavolo. Questo mi ha sì, permesso di prendere del cibo, ma dato che usavo le posate di servizio, mi sono trovata poi a doverle usare per servire le locuste, stupite da tanta abilità. Anzi, una locustina mi ha anche chiesto: "Che sei giocoliere? O come fai ad usare forchetta e cucchiaio per prendere la roba?" Non ho risposto se non con un mezzo sorriso, mentre nella mia testa la risposta era ben chiara: "Tu ignori le regole basilari dell'educazione, animale!"

Pensavo di potermi rilassare un po' con la bella musica anni '80 tanto cara ai miei ricordi, sedendomi su uno dei divanetti, ma mi sbagliavo. La musica anni '80 arrivava come uno tsunami nelle mie orecchie, e le locuste rifocillate si apprestavano ad aprire le danze. Tutti in pista, nessuno escluso, tranne me, semi nascosta su angolo del divano. E sulle note del "Ballo di Simone", una foresta di tablet e smartphone pronti a registare video e scattare selfie, tutti posizionati in pericolosi intrecci di capelli, teste, braccia...e per stare più comode, le signore che fino a quel momento erano inguainate in scarpe tacco 15 con plateau, se le sono tolte per saltellare meglio.

Tutti a mostrare il meglio della loro abbronzatura, dei tatuaggi e di muscolature più o meno toniche, senza fermarsi mai, con i bicchieri in mano e via. Ho guardato me stessa, senza abbronzatura stile "Cioccoblocco nestlè", senza tatuaggio alcuno, con una muscolatura normale,  senza tablet e senza selfie, fiera di essere così.

Mi sono alzata dal divanetto, ho attraversato la piattaforma da ballo e con una sgommatina e lo stomaco semi vuoto sono tornata ai miei introversi silenzi.


domenica 13 aprile 2014

Mio nipote, la gioia della mia vita | Avventure di zia e nipote | Storie

Leonetto
Sono alla moda
Zia give me five
su un piede
  
Sono un marinaretto














Le parole non servono in questi casi, portare mio nipote in giro significa afferrare la felicità.

sabato 22 marzo 2014

L'INCUBO DELLA SCUOLA MATERNA

A scuola sono sempre andata volentieri, alle elementari, alle medie, al liceo e infine all'università. Mai avuto problemi di socializzazione con i miei compagni, mi sono inserita con facilità in tutti i contesti sociali. 
Ma non potrò dimentichare mai il periodo della scuola materna, antecedente l'inizio della scuola dell'obbligo. Avevo all'incirca quattro anni e come tutti i bambini di quell'età, fui iscritta. La scuola non distava molto da casa, anzi, al tempo la sua sede, era tranquillamente visibile dal balcone di casa mia. In quella scuola però, io proprio non volevo andare, non mi piaceva affatto, il solo pensiero di dovervi passare delle ore mi ripugnava. Non ero una bambinetta capricciosa, non mi lamentavo e non piangevo mai, mi limitavo a mostrare il mio disagio con l'epressione seria del mio volto. Ciò naturalmente non portò a cambiamento alcuno, e ogni santo giorno venivo imbarcata sul giallo scuolabus che passava davanti a casa.  I miei coetanei vociavano e si muovevano, comportamento questo che mi infastidiva notevolmente: le loro assordanti voci e tutti quei movimenti incosulti mi davano ai nervi (io, naturalmente, restavo immobile al mio posto per tutta la durata del tragitto). 
L'arrivo alla scuola era altrettanto traumatico: tutti che si precipitavano fuori dallo scuolabus spinteggiandosi a vicenda, era al di là della mia comprensione. Per me era inconcepibile un tale caos di teste, gambe e braccia. Lasciavo che uscissero tutti, e in ultimo, mi avviavo cauta fuori, dove le maestre ci attendevano all'ingresso. I nostri cappottini venivano sistemati in fila sull'attaccapanni, quindi entravamo nelle classi. Mi guardavo intorno e osservavo tutti quei bambini, genere al quale la mia mente sentiva di non appartenere,  presi a rovesciare sui banchi matite e colori, a giocare con il pongo o il das, a spinteggiarsi, mentre io mi sentivo sempre più estranea a quel contesto. Non riuscivo a capire come potessero  interessare loro, quelle inutili attività ricreative: il mio mondo era quello degli adulti, calmo, educato, intellettivamente stimolante; nella mia mente un unico pensiero: tornare a casa, stare in silenzio, sfogliare i miei libri, giocare per mio conto, e conversare con i grandi. Persino il linguaggio di quei marmocchi spesso mi era totalmente incomprensibile, non sapevano usare le parole nè tantomeno pronunciarle bene, ma come cavolo parlavano (se parlavano)?
Il momento del pranzo era l'apoteosi della disperazione: odiavo gli odori di quella cucina e il refettorio mi dava la nausea, mentre gli altri non se ne curavano. Ci facevano sedere tutti accanto  e poi ci portavano i piatti con le pietanze: avevo il senso del vomito, e di solito non toccavo nulla, il cibo rimaneva nel mio piatto, mentre  i miei occhi assistevano al bestiale spettacolo di tutti quei pupi che affondavano le loro mani nei piatti, portandosi il cibo alla bocca con le mani e spargendo il resto su se stessi o sugli altri, ignorando le posate. In quei momenti desideravo solo scomparire, se mi avessero sparato ne sarei stata felice. Ma perchè dovevo stare lì? A che scopo? 
Alla fine le assistenti della mensa ci portavano in classe, dove le maestre avevano preparato delle piccole sedie a sdraio sulle quali ci facevano sedere e ci incitavano a dormire. Ovviamente l'unica ad avere gli occhi spalancati come fanali ero solo io, il resto della classe ronfava beatamente. Io non potevo chiudere occhio, ma si poteva star tanto rilassati e tranquilli? Il mio istinto di conservazione era come se mi dicesse che dovevo tenere tutto sotto controllo; mi sembrava strano che gli altri si assopissero, io non dormivo mai, nemmeno a casa, ero capace di stare sveglia anche per giorni. 
L'unica consolazione che avevo era che dopo quell'inutile riposino, si tornava finalmente a casa, dove avrei ritrovato il silenzio, la tranquillità, la mia amata famiglia e la mia solitudine meditativa. Tutti quei bambini erano come estranei per me, erano semplicemente altri,  guidati dai loro istinti, privi di logica e di ragionamento, non erano la mia realtà e non erano il mio mondo. Fortuna che sono cominciate le scuole elementari.


martedì 18 marzo 2014

IL CIELO HA CAMBIATO COLORE


Il cielo ha cambiato colore, l'ho visto stamattina, mentre con passo ancora incerto mi avviavo per la consueta passeggiata terapeutica. Ne ho avvertito l'odore, portato da una brezzettina che disegnava crespe trine sulla superficie del mare. Forse sta arrivando davvero la Primavera, foriera, nel mio immaginario, di cambiamenti. Già, essa è per me come un vascello antico di mercanti, che arriva da terre lontane con un carico tutto da scoprire. Blu cobalto il mare, azzurro chiaro il cielo, bel contrasto; e poi il sole, grande, come una gigantesca lumìa, percorreva il suo cammino infinito e sempre uguale.
L'aria aveva il gusto di erica e anemoni, speziata di iodio e verde, con un lontano e pur presente aroma di caffè. Un piccolo peschereccio solcava solitario il mare, inseguito da un dissidente gruppetto di gabbiani  forse in cerca di un pescetto fresco.
Ho sorriso, convinta che la mia espressione fosse nascosta totalmente dagli occhiali da sole e del tutto disinteressata ai rari passanti impegnati in esercizi ginnici e ai patiti dell'abbronzatura, somiglianti ad iguane intente a crogiolarsi al sole.
Un gatto sornione mi ha socchiuso languido gli occhi, spanciandosi sul verde margine costeggiante il lungomare, dove una solitaria  panchina mia ha accolta. Ai miei piedi un letto di margheritine, microcosmo di una vita brulicante; un coleottero verdino si arrampicava su uno stelo, le provvide formiche in formazione compatta avevano formato un'autostrada a doppio senso di marcia, due cavolaie si inseguivano allegre, vita inconscia di se stessa in perfetta armonia con le vibrazioni della natura, solo io sembravo emanare tutt'altra musica, nota stonata in quell'armonia, nella quale è entrata una coccinella, nella sua vermiglia livrea rossa a puntini neri, e se ci sono le coccinelle forse arriva la primavera. Esse son messaggere di novità, come il vascello antico di mercanti,  arca di pensieri nuovi, in questo mirabile accenno di primavera.

domenica 9 marzo 2014

OGGI STACCO

Oggi stacco, mi prendo una pausa dal mondo, dai suoi rumori e dai suoi abitanti. Isolo me stessa da ogni stimolo che arriva e si interpone fra me e il mio interiore. Osservo il volo di un gabbiano solitario, che plana nell'arancio azzurro del cielo, dove il sole sul carro d'Apollo, sta per tuffarsi in mare. E' sereno quel gabbiano, nel suo fluido planare semisospeso nell'aria brillantina del tramonto, lui vola ma non sogna, guidato solo dall'infallibile legge naturale. 
Guardo i riflessi, respiro l'aria e chiudo le porte della mia ricettività, senza telefono, senza computer, senza messaggi, solo ciò che offre questo spicchio di mondo su cui mi affaccio, breve vacanza da tutto.
Fisso lo sguardo apparentemente nel nulla o forse nel vuoto, trovando la porta del giardino di dove non so, e quivi mi stendo, cercando il buon odore, essenza di lieti riposi.
Oggi stacco, senza alcun ripensamento, ho necessità di non vedere, di non sentire, esiguo momento di gran fortuna: non svegliatemi, non chiamatemi, non toccatemi. Lasciatemi sospesa, nel giardino di dove non so, a respirare l'essenza del buon odore.


sabato 8 marzo 2014

IL SOGNO COSCIENTE

Mi distesi nel silenzio della mia camera, alla ricerca di quel magico momento di relax con la luce del primo pomeriggio. Rilassai i muscoli sempre troppo tesi del mio corpo e quasi senza coscienza mi appisolai. Riemersi dal buio del sonno affaticata, stanca, lenta. Come al solito ero circondata dalle mie appendici: il pc, i libri accanto a me, il cellualre. Tutto però mi appariva sfocato, non riuscivo a mettere a fuoco nulla, che fastidiosa sensazione. Il computer era in stand by, lo schermo nero, così afferrai il mouse per vedere se era arrivata qualche notifica, e fra le immagini sfocate notai solo che non c'erano molte mail da leggere, solo la lunga fila dei miei post precedentemente programmati. Sospirai lievemente tentando ancora di mettere a fuoco i titoli per controllare l'ortografia. Avvertii la vibrazione del telefono che mi annunciava almeno un paio di messaggi, forse di Donatella che voleva chiedermi al solito se la raggiungevo per la serata. Il cellulare era, come sempre, appoggiato su un libro, e quasi annoiata lo presi per controllare: sì era lei, ma dato che non avevo gran voglia di leggere lo rimisi a posto, promettendomi di risponderle più tardi. Ero alquanto confusa, avvertivo la sensazione della forte pesantezza delle palpebre: al solito non avrei dovuto appisolarmi, dopo rimango sempre stordita. E poi dovevo darmi una mossa, avevo del lavoro da fare e continuavo ad indugiare con il sonno, gli occhi stanchi, la vista ancora sfocata, un po' come quella del mattino, quando è la lieve luce del giorno che ci tocca gli occhi e ci sveglia, e sembra di riemergere dal centro della terra. Ma non avevo la forza di scuotermi da quel torpore pomeridiano....Altri messaggi sul cellulare. Che stizza! Mi arresi, dicendomi che altri dieci minuti di sonno non sarebbero alla fine stati deleterei, a parte poi quel cerchio alla testa che non se ne sarebbe andato se non quando avessi dato la buonanotte al mondo. Inutile combattere, richiusi gli occhi e mi lasciai andare, ma il senso del dovere sembrava proprio non darmi pace, e contemporaneamente tutto intorno a me continuava ad apparirmi sfocato, e i miei movimenti per raggiungere il mouse, i libri e il cellulare, quelli di un bradipo affetto da cachessia. Che tortura. Poi, la voce della televisione accesa dai miei mi scosse da quel torpore e tutta la stanza riacquistò i contorni netti e definiti. Mi resi conto solo in quel momento che non mi ero affatto svegliata, ma che quel torpore e le immagini sfocate della mia stanza e delle mie cose erano solo state un sogno. Guardai il pc, e vidi le notifiche che avevo controlalto nel sogno, presi il cellulare e vidi i messaggi di Dona.....anzi, il cellulare non era più sul libro, ma proprio accanto a me. Cosa avevo fatto? Tutte quelle immagini sfocate, la lentezza dei miei movimenti......
Sorrisi, un po' stupita di me stessa: il sogno cosciente, dove tutto è realmente reale, tranne il tuo corpo che dorme.
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