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sabato 25 giugno 2016

Per tutte quelle volte

Per tutte quelle volte che mi sono morsa la lingua per non rispondere a tono, facendo prevalere l'educazione,
per tutte quelle volte in cui ho soffocato la rabbia favorendo l'autocontrollo e la calma,
per tutte quelle volte che ho ricacciato in fondo all'anima le lacrime che si affacciavano nella rete delle mie ciglia,


per tutte quelle volte in cui ho finto di star bene e ho sorriso per non turbare chi mi stava intorno,
per tutte quelle volte che ho sopportato la stupidità, la scarsa intelligenza e la maleducazione,
per tutte quelle volte in cui avrei voluto urlare il mio dolore e non l'ho fatto,
per quelle volte in cui mi sono sentita impotente,

per tutte quelle volte in cui il senso di fallimento ha preso il sopravvento,
per quelle in cui mi sono sentita sola,
per tutte quelle volte che ho incontrato le anime nere dei vigliacchi, degli arroganti e degli ipocriti,
per tutte quelle volte che le promesse fattemi non sono state mantenute,
e per tutte quelle volte che saranno,
ho combattuto, ho imparato e ogni volta mi sono rialzata per diventare un po' più forte.

domenica 17 aprile 2016

VIVERE AL QUARZO

A volte non ci rendiamo conto di come le nostre radicate abitudini condizionino la nostra vita secolare. Eppure è così, solo che non ce ne rendiamo conto, e solo talvolta ci vediamo compiere quelle stesse metodiche azioni giorno dopo giorno. Ci ho riflettuto spesso e ho concluso che....

Mi sono resa conto che la metodicità con cui svolgo le mie azioni quotidiane è paradossale. Le mie azioni sono dettate da una innata logica organizzativa a cui non vengo mai meno, se non in casi di forza maggiore ovviamente.

Fin dal momento del risveglio, i miei gesti sono sempre gli stessi, probabilmente da secoli, tanto sono precisi. Mi alzo, e la prima cosa che faccio è scoprire il letto per fargli prendere aria, poi tiro su le tapparelle dedicando sempre uno sguardo al mio mare. Filo dritta in cucina e bevo 250 ml di acqua con linfa di betulla, poi vado in bagno dove effettuo, sempre nella stessa sequenza, le abluzioni mattutine, seguite dalla rituale vestizione (in questo caso cambio i vestiti, maligni che non siete altro!).


Torno in camera, apro la porta finestra, spazzo il balcone e vi passo il cencio, indi ritorno in cucina dove bevo un altro bicchiere da 250 ml di acqua con il succo di un limone spremuto. Metto a bollire l'acqua del tè e nel frattempo vado a rifare il letto. Finalmente siedo per fare colazione, con il mio amato tè, lo yogurt e una brioscina Londi (quella non la cambio per nulla al mondo, il tè e lo yogurt sì).

Ovviamente prima di uscire di casa, faccio la mia raccolta differenziata, plastica, carta, vetro, altrimenti non sto bene. La porta di casa non si chiude senza aver lavato i denti, ma una volta fuori, sono alla mercè degli eventi.....

Comincio a credere che in una vita precedente sia stata un militare, e che la disciplina marziale mi sia rimasta apiccicata addosso, visto che sono l'unica in famiglia ad avere il tipico comportamento militaresco. Non faccio mai però le cose con la fretta tipica dei soldati in addestramento, seguo solo uno schema strategico personale, che mi permette di ottimizzare i tempi e mantenere il mio inquieto animo calmo a proposito del tempo che scorre (tanto per citare...).

Attenzione, questo stile di vita così apparentemente rigido lo conduco solo all'interno del mio accampamento, se sono ospite di accampamenti altrui mi uniformo alle regole di chi mi ospita con una flessibilità di cui mi stupisco anche io. Se sono io ad ospitare membri di altri accampamenti, non impongo le mie regole, lascio che seguano il loro stile per non turbare la loro armonia interiore.

In pratica sono come il meccanismo di un orologio al quarzo, nel quale il quarzo stesso è inserito come componente in un circuito oscillatore, che mantiene il cristallo in perenne vibrazione alla sua frequenza caratteristica: dunque vivo al quarzo.




sabato 9 aprile 2016

IL SUPERMERCATO, LUOGO DI "MALA EDUCAZIONE"

Recarsi al supermercato è un po' come andare al fronte, se ne vedono di tutti i colori. E' un luogo in cui, con la filosofia giusta si possono fare degli splendidi studi sociali che rivelano, abitudini, comportamenti, e modi di vivere delle persone.

Non vado al supermercato tutti i giorni, cerco piuttosto di fare una spesa ragionata, programmando sommariamente un menù settimanale, in modo tale da poter seguire al meglio le offerte e gli sconti, confrontando prezzi, usando qualche applicazione che mi segnali i prodotti a miglior prezzo così da poter organizzare la spesa conciliando risparmio e qualità.

Durante la bella stagione e fin quando il tempo lo permette, al supermercato vado in bici, in modo tale da non sprecare carburante usufruendo così delle mie energie, di un mezzo che non inquina e di due comodi e ampi cestini su cui sistemare gli acquisti.


Ciò che mi sconvolge quando vado al supermercato è invece il comportamento delle persone. Ora, è vero che le cattive maniere sono in testa alla top ten della decadenza di questo secolo, è pure vero che io e la mia sociale introversione non sopportiamo l'universale estetismo posticcio proprio di questa epoca in cui l'educazione civica è solo una parola senza significato di cui molti ignorano anche l'esistenza, però c'è un limite a tutto.

Quindi mi rivolgo a voi eterogeneo gruppo di frequentatori di supermercati. Quando vi avvicinate ai banchi di frutta e verdura siete pregati, se qualcuno in quel momento sta scegliento o controllando un alimento, di non speronarlo con il carrello, ma di usare quell'organo tanto utile che vi trovate in bocca: la lingua, per chiedere permesso o un po' di spazio. Se non trovate le parole perchè non sapete parlare o non vi è stata insegnata l'educazione di base, basta toccare gentilmente sulla spalla chi vi sta davanti e usare il linguaggio dei gesti per farvi capire. In caso contrario riceverete come gesto di risposta alla speronatura il ribaltamento del carello e una gomitata.

Altra esortazione cari avventori è quella di portarvi dietro il vostro stramaledetto carrello, invece di lasciarlo in mezzo ad ogni corsia impedendo di fatto ad altri di passare, solo perchè vi scoccia spingerlo appresso a voi, se siete così infingardi, ripromettetevi di fare la spesa ogni giorno, poche cose che potrete tenere in mano senza scassare gli altri.

Quando prendete il numero ai banchi serviti, cercate di non allontanarvi a fare il porco comodo vostro ma rimanete ordinatamente in fila, immancabilmente qualcuno, data la vostra assenza, vi passerà avanti e le vostre insulse polemiche sul "c'ero prima io" vi serviranno a poco. Se avete furia, fate la spesa in altri momenti della giornata.

Vorrei anche esortarvi a usare gli appositi guanti per scegliere frutta e verdura, ognuno di noi si porta dietro i propri microbi e i contenitori dei guanti esistono a questo scopo, non sono sculture post moderne. Inoltre cercate di rispettare quelli che sono avanti a voi in fila alle bilance, cercare di "entrare di secco e mettervi di chiatto" spinteggiando lateralmente gli altri potrebbe suscitare reazioni a danno della vostra strafottente faccia.

Anche infilarsi le dita nel naso e pulirvi le narici non è certo un bello spettacolo da mostrare, come del resto il fatto che molti di voi ingnori che un pacchetto di fazzoletti di carta in borsa può aiutarvi a starnutirci dentro, invece che spruzzare i vostri batteri tutto intorno inondando il vostro prossimo. E le mani davanti alla bocca quando si tossisce sono un segno di rispetto non un atto di cui vergognarsi.

Se avete fame, abbiate almeno la decenza di aspettare ed uscire dal supermercato invece di scartare i prodotti e mangiarveli mentre fate la spesa ancora prima di pagarli, sbriciolando in ogni dove, lasciando unte impronte su altri prodotti e masticando a bocca aperta facendo vedere a tutti il cibo predigerito.

Infine quando vi recate alla cassa per pagare, con i vostri carrelli siate intelligenti: se avete il salvatempo, potete pagare alle apposite macchinette, se invece non lo avete, inutile voler passare ad ogni costo per la via più breve, fate la fila, senza sbuffare, spinteggiare, urtare, o peggio ancora mentre mettete i vostri acquisti sul nastro della cassa non allontanatevi perchè vi siete dimenticati qualcosa, lasciando gli altri ad attendere il vostro comodo, fate una cortesia a tutti, fatevi la lista della spesa ne troverete grande giovamento!

domenica 3 aprile 2016

IO, ME E MEZZANOTTE

E voi, in che rapporto siete con la mezzanotte? Che emozioni provate? Quali riflessioni fate allo scoccare del nuovo giorno? Io ci ho riflettuto a lungo, un pensiero ad ogni rintocco.....

Spesso mi chiedo che effetto faccia lo scoccare della mezzanotte sulle persone.
I rintocchi di un orologio, forti, sicuri, che annunciano il suo scoccare: DON, DON, DON .
La mezzanotte ci comunica che l'oggi è finito e inizia il nuovo giorno, con le sue aspettative, che la notte fa le ore piccole e noi con lei se siamo ancora svegli, come me, in questo istante, proprio ora che scrivo a ruota libera questo post, ispirato da non so che cosa.

Amo la mezzanotte, l'ora delle streghe e dei fantasmi, delle storie di paura, dei film horror, l'ambiente naturale dei vampiri e dei lupi mannari, dei cavalieri senza testa che galoppano su destrieri dal manto morello.

Ma non solo, la mezzanotte è amica delle principesse, come Cenerentola, che perde la scarpetta che condurrà il principe a lei, e che segnerà la svolta felice nella sua vita.
Per qualcuno è appena appena l'inizio della vita notturna, in giro per locali, in discoteca, a casa di amici a vegetare davanti alla tv, davanti ad un gioco da tavolo, o immerso nella lettura di un libro con un buon bicchiere di cognac sapientemente riscaldato. 
E' l'ora della Corte dei Miracoli.

Per qualcuno scatta il turno di lavoro, la reperibilità, o  si mette a studiare come fanno innumerevoli studenti universitari presi dall'imminenza di un esame da sostenere (a me è capitato spesso, e, a dire la verità, non è che recepissi granché, ma mi illudevo di sfruttare tutto il tempo disponibile....).
Per altri è l'ora della riflessione, del bilancio della giornata appena trascorsa, dei pensieri intimi, dei ricordi, della sofferenza e del pianto (quante volte nel buio e nel silenzio, il cuscino è stato irrigato dalle lacrime!). Credo che più spesso di quanto si pensi, la mezzanotte in un certo senso sincronizzi le anime delle persone. E poi non dimentichiamoci che la mezzanotte è l'ora del collegamento al nostro ormai caro amato computer, per controllare le mail, entrare nei social network, giocare, scrivere i post sui blog..

Mi piace pensare che proprio a mezzanotte anche gli alieni si sentano un po' meno spiati dai nostri telescopi e allegramente si divertano a fare le loro scorribande sulla terra per osservare la nostra strana, ma quanto mai interessante vita; chiedendosi come mai il genere umano, pur dotato di libero arbitrio, viva un vita tanto madida di emozioni, ansie, paure, sbalzi d'umore, scoppi di gioia, cascate di lacrime, fiumi di risate, valanghe di avventure, intrighi internazionali.

La associo alla luna piena, alla sua luce bianca e trasparente, ai suoi mari magnifici per chi non sa nuotare come diceva Rodari,  tanto romantica e fonte inesauribile di ispirazione per scrittori e poeti, per aedi, amanti, avventurieri ed esploratori, ricordate la novella "Ciaula scopre la luna"?
La luna disegna magnifici ponti d'argento sul mare, e nei miei sogni di bambina spesso vi camminavo per giungere nel paese delle Mille e una Notte, dove mi aspettava il califfo Harun-al-Rashid, che su un tappeto volante mi avrebbe scortata a Samarcanda, Aleppo, Baghdad... 

Anch'io a modo mio a mezzanotte lascio una scarpetta virtuale,  la lascio così nell'etere, in attesa che qualcuno la raccolga, che legga ciò che scrivo e che lasci una traccia su questo mio sgangherato diario, dove tento di dare corso agli infiniti pensieri che pesco nel vasto mare delle possibilità.
E chissà perché li pesco sempre a mezzanotte, l'ora del contatto con il cosmo, con gli angeli, i jinn.
Ti amo mezzanotte.


domenica 27 marzo 2016

HANNO ASSALTATO LA BANCA DI SANTA CRUZ

Ho una passione per i film western di Sergio Leone, li conosco a memoria, battuta per battuta. Non mi stanco mai di vederli e rivederli se ne ho il tempo e la possibilità. 
Ne adoro le colonne sonore, così abilmente composte da Ennio Morricone, adatte ad ogni scena, e profondamente coinvolgenti.

Quando ero ancora una giovane e spensierata ragazza, piena di energie e di fantasia, e andavo selvaggiamente a cavallo, solevo, dopo gli allenamenti in campo con quell'inquisitore del mio istruttore, andare con il mio Lifar a rilassarmi passeggiando in campagna, lungo sentieri collinari, attraverso vigne, campi di girasoli e prati lasciati a maggese. Era come lasciarsi tutto alle spalle, una meditazione naturale, fatta del ritmo dell'andatura del mio cavallo, di luce del sole, di odori, di suoni di campagna, di siepi con i fagiani. Sola con Lifar e i nostri pensieri.

Il suo mantello color rame brillava come oro rosso, e il rumore dei suoi zoccoli sulla terra battuta o sul muschio, un mantra rilassante.
In questo nostro errare senza meta, c'era spazio per il gioco, e per qualche sosta a favore di uno spuntino, a base di frutta staccata dagli alberi (staccare una mela da un albero senza scendere di sella e gustarla insieme al tuo cavallo non ha prezzo), oppure di un riposino sotto una quercia, io con la schiena attaccata al tronco dell'albero e Lifar vicino che assaggiava qualche margheritina.

I nostri giochi erano semplici, a volte approfittavo di una sua distrazione per nascondermi e chiamarlo da dietro un cespuglio, ridacchiando nel vederlo con le orecchie dritte che, seguendo la mia voce, lo portavano al mio nascondiglio. Altre volte gli raccontavo che avremmo potuto avventurarci per un Marlboro Country, e fingerci cacciatori di taglie. Queste storie lo emozionavano, e io facevo finta che i campi da noi attraversati fossero canyons e praterie.

Ma più di ogni altra cosa, mi accorsi che era una frase che lo eccitava tantissimo, e lo faceva galoppare nitrendo allegro. Fu per caso un giorno, mentre eravamo di passaggio su un campo appena mietuto, che gli raccontai appunto la trama del film "Per qualche dollaro in più" di Sergio Leone, e presa dalla foga pronunciai a voce molto alta, una celebre battuta del film: "Hanno assaltato la banca di Santa Cruuuuuzzzz!"

Fu come aver schioccato la lingua, Lifar partì al galoppo con un gran nitrito, e via.....a salvare la banca dai banditi, attraverso quel campo canyon, con il poncho sulle spalle e il cinturone a sinistra (sono mancina io), gli ultimi raggi del sole morente sul viso, e il mio rosso destriero librato nell'aria magica di quella favola.


sabato 19 marzo 2016

DI ALCUNI VENDEMMIATORI E DI UN PENNUTO

I vendemmiatori hanno sistemato un tavolo ed alcune sedie sotto il gelso, così vi si accomodano durante la pausa pranzo dalla vendemmia. Si portano dietro una borsa frigo con delle vettovaglie, il vino, il pane che poi sistemano sul tavolino e ivi mangiano di gusto. Son belle giornate e l'aria al quanto tiepida favorisce una piccola siesta sotto il gelso che, con i suoi rami forma uno splendido ombrello verde, una sorta di gazebo naturale.

Stanno lì, placidamente seduti, con la calma tipica di chi conosce da tempo immemore questo rito antico, senza che nulla turbi i loro gesti. Ma nella calma rurale in cui tutti sono immersi, qualcuno spia curioso la novità di questi giorni. Dall'alto dei rami del gelso, o ancor più in alto dalla quercia ai margini del giardino, che confina con la vigna, la ghiandaia studia ogni gesto, ogni movimento; ascolta ogni parola e ruota il capo.


Terminato il frugale pasto, i vendemmiatori ritornano alle fatiche usate, lasciando sul tavolo sotto il gelso qualche mandarino e chicco d'uva. Tutto tace intorno, e nella quiete del meriggio autunnale, solo qualche farfallina svolazza inquieta sulla lavanda. Ma per qualcuno è invece il momento di agire, profittando del fatto che tutti sono occupati in altre faccende.

Mi son nascosta dietro la tenda che potegge l'ingresso di casa dalla comunità di cimici che prospera felice in questi giorni in giardino, la porta è aperta, perchè il tepore possa entrare e riscaldare questi spessi muri di pietra. Velata come sono, non son visibile dall'esterno e lo sciocco pennuto plana placido sul tavolino abbandonato dai vendemmiatori, accompagnandosi con il sommesso gracchiare della sua voce roca.

"Ve l'ho fatta umani!" sembra dire con sarcasmo. Ma per prudenza scruta a trecentosessanta gradi la zona, e dopo il giro di ricognizione, si appropria dei mandarini e dell'uva che becca con gran gusto e soddisfazione, tacchineggiando felice sul tavolino, petto in fuori e lampo maligno negli occhi.

Dato che niente e nessuno distuba il lauto pasto, il pennuto sotto le mentite spoglie di una ghiandaia, si è rilassato ed è andato ad accomodarsi su una sedia e poi ha tentato di infilarsi nella borsa frigo rimasta incustodita, ma purtroppo essa era chiusa.

Nel frattempo io sono uscita da dietro il mio osservatorio, e mi sono recata con grande indifferenza a prendere del coriandolo dal lato opposto rispetto a dove si trovava il pennuto in meditazione. Ho preso il coriandolo e sempre con indifferenza, come se in giardino non ci fosse nessuno, mi sono recata verso casa. Callido come il ladro di Baghdad il pennuto si è nascosto dietro la borsa frigo e mi ha fatto una gracchiatina.

"Niente paura" gli ho detto "è il periodo della tregua autunnale!" E annusando il coriandolo sono rientrata in casa.




domenica 13 marzo 2016

TEMPUS EDAX RERUM

Le feste non mi sono mai piaciute molto, ho amato e amo solo le riunioni di famiglia. Era il giorno del mio nono compleanno e avevamo semplicemente festeggiato con un pranzo di famiglia, insieme a zii, cugini e nonni. Una di quelle giornate in armonia, felicemente insieme, con qualche chiacchiera, i giochi, e un brindisi accompagnato da una fetta di torta.

Ma arrivò la sera e con la sera i saluti, ognuno doveva tornare a casa. Fu allora che per la prima volta un'angoscia lancinante mi strinse il cuore. Ebbi come un fremito interno, una sensazione di strappo che mi percorse come una scarica elettrica. Mi controllai a fatica, per non piangere, deglutendo più volte per ricacciare in fondo allo stomaco quella dolorosa palla che mi stringeva la gola.
Quando tutti se ne furono andati, rivolsi a mamma una riflessione: "Il tempo scorre troppo velocemente, si porta via tutto come una valanga, e io non riesco ad afferrare gli attimi importanti della nostra vita. Sto male per questo".

"Tempus edax rerum", mi rispose mamma, "il tempo divora ogni cosa, purtroppo Silvia è così, il tempo scorre e non possiamo fermarlo".
Per me fu come una condanna a morte, ebbi la certezza che quell'angoscia non mi avrebbe più lasciata in pace. E così fu. Ritrovarmi ad oggi è stato un lampo, e io lo sapevo, l'ho sempre saputo, dalla consapevolezza di quel giorno, che mi sarei sentita addosso l'alito del tempo, alito pesante come uno schiacciasassi. Da quel lontano istante, ho sempre cercato di trattenere ogni singolo momento di ogni giorno, di tutte le settimane, di tutti i mesi, di tutti gli anni della mia vita, ma con quella straziante sensazione che tutto stia per finire, con la quasi certezza di non riuscire ad assimilare il presente perchè è pesante come il piombo  solo l'angoscia della fuggevolezza e della fine, il termine di tutto, e non vi sono appigli per rallentare questa corsa.

E così  alla verde età di nove anni seppi che tutto ciò che amavo prima o poi  sarebbe scivolato dalle mie dita, come granelli di sabbia che si vogliono trattenere fra le mani.  Quella frattura non si poteva riparare, non esisteva mastice, nè punti. Potevo solo cercare di abituarmi, concentrarmi sul momento presente, sull'oggi, ora, adesso, ma con una dolorosa spina: tutto ciò che mi appartiene oggi potrebbe trasformarsi domani, nel ricordo di qualcosa che ho perduto per sempre.
Sono ancora qui, a guardare le mie mani, fra le cui dita sono scivolati via i momenti, gli animali e le persone amate.


sabato 12 marzo 2016

CLIENTI SERPENTI

Ci sono giorni in cui una speciale congiuntura astrale, dovuta probabilmente ai cambiamenti climatici in atto, o forse ad un karma di cui non riesco a liberarmi, o magari ad un bieco gioco del caso, in cui mi ritrovo a contatto con gente i cui neuroni sono totalmente fulminati. Vado a spiegare meglio. Un paio di giorni fa, prendo il mio mezzo a due ruote, il mio fantastico biciclone corredato di un lucido e solido cestino, per andare a fare alcune commissioni.

Dato che cerco di programmare tutto, anche in questo caso provo a concentrare le svariate commissioni nell'arco di una mattinata, effettuando anche un itinerario ad hoc, partendo quindi dai negozi o uffici più lontani per andare via via verso quelli più vicini e quindi, al termine del giro, tornare a casa. Eccomi dunque ad inforcare la bici e partire: prima tappa erboristeria.


Sono cliente da molto tempo e c'è una certa confidenza con la titolare. Entro e ci scambiamo i soliti convenvoli, poi mi accingo a chiedere alcune informazioni in merito ad un infuso e mentre la titolare comincia a darmi alcune spiegazioni, entra un signore di una certa età, con in mano un foglietto sul quale compariva un elenco (suppongo di prodotti, come in genere si fa quello della spesa).  Senza nemmeno dare il buongiorno e senza curarsi del fatto che prima di lui  c'ero io, mi si piazza di fianco e, leggendo sul suo magico foglietto esclama: "Olio di fegato di merluzzo, MegaRed, per il cuore".

Dopo un secondo di silenzio, dovuto ovviamente alla maleducazione del signore in questione, la mia erborista di fiducia, esercitando su di sè un certo controllo, spiega gentilmente che lei non ha quella marca specifica, ma un altra. Il signore dal canto suo esordisce: "Ma a questo fanno una bella pubblicità!". Ecco che la mia mente comincia ad elaborare i soliti introversi pensieri: dunque il fatto che al prodotto facciano una bella pubblicità è forse indice di qualità? Lo vedi in Tv e pensi che sia il migliore prodotto sul mercato?

Ma non ho fatto in tempo ad andare oltre perchè questo strano personaggio, incurante di ciò che gli veniva detto va oltre e chiede: "Già che ci siamo vorrei il Gaviscon per l'acidità di stomaco". A questo punto sono io che non sono riuscita a stare zitta, visto che il bamba proprio dimostrava di essere duro di comprendonio e ho esordito: "Guardi, il Gaviscon lo trova in farmacia, qui siamo in un'erboristeria, in cui sono presenti prodotti naturali che sono utili anche all'acidità di stomaco, ma non sono sintetizzati chimicamente".

Per contro il plagiato dalla pubblicità dice: "Ma in Tv dicono che fa bene". Avrei voluto uscire e andare a fare un giro, ma non avevo tempo da perdere e oltretutto stavo tollerando un imbecille che mi era passato avanti senza neanche chiedere il permesso. La mia erborista dava segni di squilibrio, perciò ho risposto io al posto suo: "Capisco che la televisione sia per lei fonte di ispirazione per la scelta dei prodotti per la salute, sappia che qui, ci sono prodotti per il naturale curativo e non farmaci da banco, ora, sta a lei riflettere e scegliere, se affidarsi totalmente a ciò che le propina la pubblicità, avallando anche il business farmaceutico o informarsi su prodotti alternativi, di sicura provenienza e che di chimico non hanno nulla, e se permette visto che ero qui prima di lei, e sono ben venti minuti che attendo i suoi comodi, vorrei terminare ciò che avevo cominciato e andare a concludere i miei servizi prima di notte".

Probabilmente queste mie paroline hanno scosso dal coma il cervello dell'omino, il quale, come ritornato in sentimenti, ha comunicato che sarebbe andato a riflettere sui consigli avuti. Buon per noi. Ma evidentemente i miei incontri non erano finiti lì, perchè la seconda tappa era il negozio dove per la terza volta,  avevo lasciato il mio cellulare che aveva deciso di por fine alla nostra relazione collaborativa. Entro per avere notizie dell'agonizzante device, e avanti a me c'è un cliente molto preoccupato. La proprietaria gli stava ponendo alcune fondamentali domande, per capire quale fosse il problema.

"Non funziona" è stato tutto quello che il cliente preoccupato ha detto, nè più, nè meno. La ragazza mi guarda, io mi chino su un espositore di accessori, facendo finta di nulla. Dato che altro non si poteva sapere, la ragazza prende il dispositivo, rilascia al tizio una ricevuta e gli chiede il suo numero di cellulare per poterlo avvisare (la sim nel frattempo era stata inserita in un altro cellulare). Ma il tizio candidamente sottolinea: "E che ne so io che numero ho?". Mah....... A quel punto ho preso le mie gambine, la mia bici e me ne sono andata in pescheria, dove dovevo ritirare delle alici fresche, per farne un tortino gratinato.

Entro e mi metto in fila, aspettando il mio turno. Mentre attendo entra una coppia, che chiede chi sia l'ultimo. Rispondo che sono io e tutti ci mettiamo in attesa che la fila si smaltisca. Ecco che tocca a me, il pescivendolo prende le alici ben riposte in una bustina e me le porge dicendomi: "Ecco le alici Silvia, freschissime, fammi poi sapere come è venuto il tortino gratinato". Non faccio in tempo a prendere fiato per rispondere che la coppia alle mie spalle esclama: "Non ti piace il pesce anelli?"

"Pesce anelli?" chiedo. "Sì", replicano dandosi di gomito (come a dire, vedi questa ignorantona), "il pesce fatto ad  anelli, è così buono fritto". A quel punto il pescivendolo è stato più veloce della mia lingua (che in quel momento si stava mutando in una lingua biforcuta) e ha apostrofato i sapientoni: "Il pesce anelli, come lo chiamate voi, non esiste, forse voi vi riferite agli anelli di totano, un mollusco cefalopode, che è questo (e glielo ha sbattuto davanti), da cui si ricavano gli anelli di cui voi parlate". Silenzio di tomba.

Ero piuttosto tramortita, ma gli incontri ravvicinati non erano terminati, perchè dovevo passare dalla ferramenta per chiedere di una vernice antimuffa. Anche qui, arrivo e faccio la mia richiesta, e mentre uno dei commessi comincia a darmi alcune utili spiegazioni, entra un tipo che si rivolge ad un altro commesso in quel momento libero: "Hai mica quei cosini fatti a panna cotta per le viti?"

Era troppo per me, ho salutato il commesso, dicendo che sarei tornata in un altro momento, con la scusa di dover riferire a chi di dovere le  caratteristiche della vernice antimuffa. Ho inforcato la bici, e pedalando veloce mi sono ritirata nei miei appartamenti facendo gli scongiuri e improntando un sacrificio ad Ecate per propiziarmi incontri migliori. 





domenica 6 marzo 2016

ERO UNA BAMBINA DISAPPETENTE

Sono stata una bambina disappetente, così diceva il pediatra. Per me lo stimolo della fame non esisteva affatto, fame non ne avevo mai. A dire il vero, a chi mi aveva intorno, apparivo come un derviscio (benchè fossi paffutella, nessuno a vedermi avrebbe detto che ero una che non mangiava) in continua meditazione, capace di digiuni prolungati per giorni. A mangiare naturalmente venivo forzata, con mio grande disappunto. Ovviamente crescendo le cose sono cambiate, sono diventata una buona forchetta e una grande buongustaia, adoro la buona cucina e i piatti ben cucinati che apprezzo con tutto il mio essere. Nonostante tutto però, non sopporto di stare a lungo a tavola, mangio volentieri, con gusto, ma il tempo deve essere limitato, questo suggerisce il mio istinto.


Una riflessione la mia, che è maturata recentemente, forse perchè mi è stato fatto più volte notare e soprattutto in famiglia, che ho la tendenza a togliere, con fulminea velocità, i piatti da tavola, talvolta mentre i malcapitati familiari stanno ingoiando l'ultimo boccone. Così, mi son messa a pensare a questa sorta di mania. Perchè mi comporto così?  Ripensando ai miei trascorsi infantili, a quando per me il verbo "aver fame, essere affamati" non aveva alcun significato, mi sono riaffiorati alla mente dai vecchi cassetti della memoria, i pensieri di un tempo: mangiare uguale perdita di tempo prezioso.

Tempo tolto ai miei pensieri, ai giochi, alla lettura, alla mia voglia di stare da sola nella mia cameretta senza essere disturbata da nessuno, quindi gli orari dei pasti (oltre al fatto che la fame non si faceva mai sentire), sottraevano tempo. Ripensando a ciò, ho rivisto anche il mio modo di essere adesso, ancora legato a quegli istinti. Mangiare mi piace, ma nella mia mente continua ad essere una perdita di tempo, tempo sottratto, tempo mancante, pericolo forse? Se sono sola, per me diventa inutile persino sedermi a tavola, mangio in piedi, comodo e veloce; se sono con i miei familiari, sosto a tavola solo il tempo necessario a masticare, deglutire, complimentarmi per la bontà delle pietanze (siano esse cucinate da me o da loro) e poi via, prepararsi a sparecchiare, fare la cucina e togliere tutto di mezzo, andare in altra stanza. 

Per me è una totale assurdità che si stia a tavola una volta finito il pasto semplicemente per chiacchierare, con la tavola ancora da sparecchiare e i piatti da lavare, il mio solito atavico istinto mi dice che si deve sbarazzare tutto e poi dedicarsi alla conversazione in un luogo più consono ad essa. Mi chiedo se non vi sia una sordida sensazione di paura, il pasto come sosta, come pausa, il fermarsi chissà, in un luogo pericoloso, sotto il tiro dei cecchini, con il pericolo di un agguato, quindi, sbrigarsi e marciare per andare in un luogo sicuro. L'unico pasto che per me vale la pena godersi è la colazione, illuminante momento di delizia. Sola o in compagnia, per colazione siedo, e sosto (mai troppo), ma sosto; respiro l'inizio della giornata come fosse una sorta di nascita, un nuovo affacciarsi al mondo, giorno, metafora della vita, tutto da vivere.


sabato 5 marzo 2016

NON C'E' PEGGIOR SORDO DI CHI NON VUOL SENTIRE

Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, è come cercare di far prendere a qualcuno una palla, che inevitabilmente rimbalza su un muro trasparente e torna indietro. Cerco invano di far capire che la mia vita è totalmente cambiata da un anno a questa parte e che vi sono cose che forse, non potrò fare mai più. Spiego, cercando le parole più semplici affinchè il ricevente comprenda che la mia vita è su una strada diversa, ma son parole buttate al vento.

Quando il tuo corpo subisce un trauma importante a seguito del quale si è dovuto intervenire chirurgicamente, ne scaturiscono alcune conseguenze, inevitabilmente. Tutto ciò che eri abituato a fare, tutto quello che caratterizzava la tua vita cambia, e di conseguenza, si è costretti a cambiare le proprie abitudini. Coloro che ci circondano dovrebbero essere in grado di capire, anche solo osservandoci, ma non sempre è così. Se sei  costretto a convivere con il dolore fisico tutti i giorni, se devi stare attento ai movimenti che fai, se devi costantemente tenere una speciale tabella di marcia di esercizi fisici, se quando devi alzarti dal letto devi mettere in atto una serie di azioni particolari, la tua vita non è più quella di prima. Ma con alcune persone è come parlare al vento. La loro mente è predisposta a pensare che fatto l'intervento tutto è risolto. Si può essere così ciechi e ottusi? Come far capire che anche la nostra mente e non solo il corpo subisce le conseguenze di tale radicale cambiamento? 

E' semplice: non si può. Si potrebbero usare tutte le lingue del mondo,  fare un disegnino,  usare il linguaggio più basso ed elementare, questo non porterebbe assolutamente a niente. 
In principio è incredulità, poi rabbia, quindi delusione, e infine rassegnazione
E' come trovarsi di fronte ad un bivio,  la biforcazione di una strada familiare che si si divide e ti costringe a scegliere, o da un lato o dall'altro, è la via di mezzo che manca.

L'obbligatorietà di questa scelta, comporta l'acquisizione e la perdita. L'acquisizione di nuove abitudini, di una nuova visione della vita da parte del soggetto agente, la perdita di ciò che era prima e di coloro che non accettano questo cambiamento. 
La mia strada adesso è nuova, profondamente diversa, ed esclude sordi e ciechi all'evidenza. Il mio percorso adesso lascia alcuni ed acquisirà altri, perchè su questo treno, che è la vita, fatto di stazioni, nel nostro scompartimento ci sono viaggiatori che salgono, altri che scendono, ma solo pochi che ci accompagnano fino in fondo.


sabato 27 febbraio 2016

ANTONIO E LO SPOLVERINO BLU

Antonio indossa uno spolverino blu, uno spolverino che mi ricorda quelli indossati dai vecchi vetrai, intenti nel loro lavoro in ampie botteghe, dove le schegge di specchi e vetri colpite dal sole, si trasformavano in prismi diffondenti arcobaleni di luce colorata. Erano botteghe dove odori di colla e polvere si mischiavano in armonico profumo, proprio di quell'attività. Ma lo spolverino di Antonio non è adibito a quell'uso.

Egli lo indossa per un ben preciso scopo: andare sotto l'albero del gelso a raccogliere le scure more, che sugose occhieggiano dietro le larghe foglie, vestito di rami flessibili. Le more del gelso cadono nelle mani di Antonio, che le ripone sapientemente in una grande ciotola di plastica bianca; sono così mature che a volte il loro sanguigno succo gli tinge le mani e le gocce purpuree macchiano lo spolverino blu.


Le mani di Antonio sono grandi e forti, costellate di qualche legnoso nodo come il tronco del gelso, ma pur nella loro ampiezza, esse sono delicate e leggere, tanto che le fragili more vi trovano morbido letto. Da sotto il gelso si sente Antonio che parla con il merlo, che un po' indispettito si sente deufradato di tanto cibo e saltella nevoso da un ramo all'altro, mentre un gelosa ghiandaia lancia qualche roco avvertimento perchè il suo territorio è stato invaso da un gigante blu.

Io mi godo la scena dalla finestra, osservando i movimenti, ascoltando in silenzio i dialoghi fra Antonio, il merlo, la ghiandaia, nella pace spirituale di un giardino di cui mai rivelerò le coordinate, dove tutto è possibile, dove si fa il pane fatto in casa e torte che odoran di forno.

Con Antonio e il suo spolverino blu si parla di pesca, di tartufi,  delle piantine di pomodoro, di alberi da frutto e della situazione internazionale. Ci si siede in giardino a guardare il tramonto, mentre un batuffolo di pelo nero corre sull'erba con le sue zampette corte, regalando ad Antonio, al suo spolverino blu e a me, un attimo di paradiso.

domenica 21 febbraio 2016

La ghiandaia: furbo pennuto

Su una giovane quercia al confine del giardino, abita una prepotente ghiandaia. Il suo roco richiamo mi avverte della sua presenza nelle più svariate ore del giorno. E' un asso del mimetismo fra i folti rami della quercia, e in base a come le foglie si muovono, è possibile capire su quale dei piani della sua villa si trova.

Questo furbo pennuto non ama veder gente che transita per il giardino, che di fatto non le appartiene,  poichè è convinto che gli si portino via le cibarie, consistenti in more di gelso, peschenoci e susine, che puntualmente becca, fa cadere a terra e lascia lì, svolazzando e gracchiando felice.


Gracchia felice fino a che, dall'alto del suo appartamento, non vede qualcuno che transita attraverso il giardino per andare a lavorare nell'orto, duro lavoro di estirpazione manuale delle erbacce, sotto il caldo sole estivo, fra le verdi pianticelle che con fatica son state piantate e  che con altrettanto faticoso impegno, son state fatte crescere. Ma a lei quel via vai non va bene, quella è casa sua e tu o chiunque altro, siete ospiti  indesiderati.

Perciò, mentre tu cammini ignaro del pericolo che stai correndo, lei spicca il volo e plana a folle velocità sulla tua testa borbottanto offese in "ghiandese", sfiorandoti e riprendendo quota alla stregua di un cacciabombardiere, o forse dovrei dire come un missile aria- terra. E questo è il raid dell'andata. Se si è passati indenni, si può accedere all'orto, dove con impegno ti metti a lavorare, pur tenendo un occhio al cielo (non si sa mai).

Essere giunti  nell'orto non significa essere al sicuro, si è sotto tiro comunque, anche perchè il feroce pennuto, deve nutrire un morbido, lamentoso pulcino che, affamato, ci "guata" dalla vigna. Il piumino piange, e la pennuta madre, decide di rinfrescarlo con una pesca. Un moto d'ali e prima che tu possa rendertene conto, due pesche cadono a terra beccate a morte.

Cerchi di finire l'estirmapemento delle piantine infestanti, raccogli da terra le pesche cadute dopo una breve resistenza al becco del pennuto, e madida di sudore ti avvii verso casa, anche per darti una rinfrescata........ma ecco che, callida come la volpe del deserto, la molestatrice pennuta  approfitta del fatto che hai le mani occupate.

In picchiata ti svolazza sulla testa, blaterando improbabili minacce, e per farti vedere che lei può e tu no, intreccia acrobazie sui rami del gelso solo ad un metro di distanza da te, mettendosi anche a testa in giù, mentre il merlo, che aveva approfittato dell'assenza della tirannica occupatrice di territori, manifesta indispettito il suo nervosismo.

Varchi a fatica la soglia di casa, finalmente al sicuro da qualunque attacco, felice di non esser stata beccata da quell'impudente, e pur di dimostrarle che tu appartieni allo stabile e a quel pezzetto di terreno che coltivi anche per sfamare lei, ti affacci sulla soglia e le urli: "Sciocco pennuto! Esisto anche io!"




sabato 20 febbraio 2016

Lungo il canaletto

Cammino lungo l'argine di un canaletto per l'irrigazione, dove l'erba ormai trascolora nei colori dell'autunno. E' ancora morbida. I miei passi sono attutiti e intorno c'è un piacevole e musicale silenzio, la compagnia che preferisco. Accanto a me trotterella Sissy, con la sua pettorina rossa, tutta presa dagli odori che si spandono intorno ai vigneti, dove i grappoli dell'uva matura pendono pesanti fra i pampini dalle sgargianti sfumature.


Un passo dietro l'altro senza pensieri, forse è il mio modo di meditare, di staccare la mente, di fermare l'impertinente e sfacciato flusso di pensieri, parole, immagini che turbinano come una tempesta confusa nella mia mente sempre sull'attenti, come un soldatino ben addestrato agli inganni del mondo. Ma qui no, posso lasciarmi andare, calare il ponte levatoio fortificato con cui blindo l'ipersensibilità che mi appartiene, radice troppo forte che affonda le sue braccia dentro la mia anima.

Getto via questa pesante armatura, mi va bene solo ciò che mi circonda: l'erba del canaletto, le occhiatine di Sissy, in perfetta armonia con se stessa, perchè nulla chiede se non quello che ha, i vigneti sobri e gli alberi da frutto. In questo camminare senza pensiero alcuno, libero il mio essere e giungo in una raduretta solinga. Sorrido,  perchè la mia introversione mi ringrazia di questo isolamento che concedo a me stessa da tutta la confusione umana che non sopporto da sempre.

C'è un bellissimo albero di nocciolo, l'albero di Cenerentola, dei rabdomanti, simbolo di saggezza e della Luna. E così come per caso gli canterello dei versi:

"Presto alberello scuotiti al vento,
in fretta ricoprimi d'oro e d'argento"

Dette queste parole trovo una bella nocciola fuori stagione, che metto felice in tasca, ringraziando il nocciolo per aver udito le mie parole. Poco più avanti incontro l'imponente noce, dal secolare tronco, simbolo delle divinità femminili, legato a storie di streghe e simbolo di rigenerazione. L'ho ammirato in tutto il suo splendore e anche a lui ho canticchiato una canzoncina, per ricordargli i fasti medioevali di cui godeva:

"Sotto l'acqua e sotto il vento,
vicino al noce di Benevento"

Ai suoi piedi c'erano infatti delle noci ancora intatte nel verde mallo che le racchiudeva, e che ho accettato volentieri come segno di duratura amicizia. Sissy invece, aveva trovato alcune giuggiole. Nel misticismo magico in cui ero immersa sapevo che dovevo tornare sui miei passi, pur a malincuore e così sempre rivolgendomi al mio amico noce, ho canticchiato la canzoncina al contrario:

"Sopra l'acqua e sopra il vento
lontan dal noce di Benevento"

E passo passo, con la mia soddisfatta introversione, senza pensieri e il ponte levatoio ancora calato, accompagnata dal ritmico trotterellio di Sissy son tornata lungo il canaletto, le vigne e i frutteti là nella casa con il giardino di dove non so.




domenica 14 febbraio 2016

Non sapevo ancora leggere

A volte ritornano, vividi, i ricordi dei primi anni della mia infanzia, così all'improvviso, scatenati da non si sa cosa. E così, lucido come non mai, si è aperto a me quel tempo che mi appare tanto lontano e felice, di quando mi mettevo di fronte ad una delle librerie di casa e prendevo un libro dell'enciclopedia, una lettera per volta, l'ordine non era importante. Erano libri grandi e pesanti, che quasi erano alti quanto me, profumavano di pelle e inchiostro e avevano quella sfumatura color tabacco un po' marmorizzata, che amo tutt'ora.


Con quei libroni mi accomodavo sul divano, e con un rito quasi religioso li aprivo, assaporando il profumo di quella carta pregiata e traslucida, su cui si susseguivano in ordine alfabetico tutte le parole dello scibile, cose, nomi, personaggi, città, stati, monumenti, animali, piante, fiori...Pagina dopo pagina  i miei occhi divoravano quei caratteri e quelle rare foto che disseminavano le pagine di quei tomi, alcune a colori, molte in bianco e nero.

Sul quel divano, con quei tomi così grandi, io mi astraevo da tutto e tutti, non c'era nulla che potesse distogliere la mia attenzione da quelle pagine, su cui lievemente passavo le mie piccole dita, come se attraverso i polpastrelli quella conoscenza passasse a me. Trascorrevo ore a sfogliare quelle pagine, osservando attentamente i volti di musicisti, poeti, scrittori, attori, personaggi politici, iperscrutando i loro occhi, le linee dei volti, chiedendomi cosa stessero pensando in quel preciso momento, e il valore delle loro esistenze.

Erano tante le domande che mi ponevo, una però mi martellava più di altre: perchè io mi trovavo lì in quel momento e non invece in altro tempo ad osservare quelle vite di cui l'enciclopedia era una testimonianza? Perchè a me era toccata quell'epoca, non quella dei Greci o degli Egizi, che tanto affascinavano la mia mente? Perchè ero nata in Italia e non in un altro paese del mondo? Non ricordo di aver esternato queste domande, di aver chiesto spiegazioni in merito, ma ricordo che a parte i miei familiari, erano diverse le persone cui risultava strano che una bambinetta di circa quattro anni, stesse delle ore a sfogliare libri che ancora non sapeva leggere o tantomeno capire.

Non sapevo leggere, non nel senso comune del termine, ma sentivo, attraverso i miei polpastrelli quello che quei caratteri d'inchiostro contenevano, ciò che quelle pagine significavano, e assimilavo luoghi, edifici, civiltà, molecole, invenzioni, animali e piante, fatti e persone. Non sapevo leggere, ma sapevo dove trovare quello che cercavo, perchè vedevo dentro quei libroni anche quando erano chiusi e riposti in ordine sulla libreria. E quando una domanda mi assillava, io andavo, e scorrendo con un dito le grosse costole di quei tomi mi fermavo su quello dove, pur se non coscientemente, trovavo la risposta.


domenica 10 gennaio 2016

L'ultimo baluardo: la speranza

La vita è fatta di speranza, pianta che necessita di essere coltivata e curata quotidianamente. In questo mondo così perverso e sempre più crudele, in cui è difficile trovare un posto per se stessi, senza speranza è quasi impossibile sopravvivere. 
A volte non ci accorgiamo nemmeno di sperare, tanto siamo presi dall' affanno del quotidiano, quella sorta di lotta per la specie, presi e concentrati dal non farci scartare dalla nuova e artificiale selezione naturale.

Se non hai successo, non sei nessuno, se non sei bello non sei nessuno, se non hai potere non sei nessuno, se non hai soldi ti gettano immediatamente dalla rupe Tarpea. 
Essere sensibili, avere in seno quelle corde che vibrano anche per le piccole cose di ogni giorno e che forse ci classificano un po' poeti, è un handicap incorreggibile, quella sorta di autismo che non ti permette di comunicare con il mondo vero, quello che è in stato di guerra permanente di tutti contro tutti, mi risuonano nella mente le parole di Hobbes: "Homo, homini lupus".

Sono tutti esperti nell'arte dell'agguato, ed è così facile diventare preda, nel mondo del lavoro, perchè la crisi ci ha già messo in ginocchio, perchè ci sono i raccomandati, perchè anche solo essere disponibili con i colleghi viene visto come segno di stupidità; nella vita di tutti i giorni, basta andare al supermercato e trovi il furbetto di turno che cerca di passarti avanti mentre sei in fila alla cassa, o quello che con una manovra a rischio incidente ti frega il parcheggio, o il paziente dell'ultimo minuto che salta la fila dal medico perchè ha solo bisogno di una ricetta veloce veloce e poi ci sverna un'ora.
Io faccio le file, non ho conoscenze e infatti veleggio veloce nel precariato quando mi va bene, attendo il mio turno, condivido il mio sapere e se qualcuno mi chiede aiuto nel mio piccolo sono generosa.

Sbagliato, errore madornale, ci sono rimasta fregata vieppiù volte. Ma con tutto ciò continuo a sperare, a credere che si possa con il proprio essere schietti e onesti dare un misero esempio di coerenza, che dimostrare le proprie capacità sia ancora un buon biglietto da visita, a volte più importante di tante specializzazioni. Cerco di migliorarmi, perchè spero fortemente che la volontà che impegno ogni giorno nell'essere coerente con me stessa e i miei principi sia il passaporto che può aprirmi nuovi spiragli e nuove porte.

Lo spero, perchè senza la speranza, il mio futuro appare piuttosto oscuro, senza prospettive di lavoro, senza affetti veri, senza sincerità, in un mondo dove la disonestà è diventata la dea maggiormente venerata, dove le scorciatoie sono preferite a percorsi che costano fatica e impegno, dove il facile guadagno è in prima fila rispetto a qualunque etica e morale.
Quindi spero, e coltivo nel mio vaso la speranza, questa piccola e timida pianticella, che ha il gran potere però, di farmi apparire la notte meno scura.


sabato 9 gennaio 2016

Mangiare sbrodolando se stessi e gli altri...

Converrete tutti con me che ognuno ha il proprio modo di mangiare. Non sto parlando dell'essere buongustai o meno, ma semplicemente della gestualità propria di ognuno di noi a tavola, al bar, in trattoria, per strada, al ristorante...

Se ognuno si mettesse ad osservare gli altri, probabilmente avrebbe da dire qualcosa, sul bon ton relativo ai gesti che accompagnano le posate alla bocca, il modo in cui si avvicina un boccone con le mani alle labbra nel caso di un panino per esempio, dell'uso della muscolatura di mascella e mandibola e via dicendo.


Vi sono però casi limite, che tolgono l'appetito anche ad un affamato, da cui scaturiscono una serie di domande sullo stile di vita di certi individui. In effetti basta mettere il naso fuori di casa per effettuare studi approfonditi in merito.

Ad esempio prendiamo la mezza mattina, quando gran parte delle persone è in giro o fuori per una pausa caffè. La prima domanda che mi faccio è: esiste anche un solo individuo che cammini senza masticare? Sono gruppi interi di persone che smascellano e triturano schiacce, focacce ripiene, tramezzini, brioches, panini. Volete rattoparvi lo stomaco? Va bene, ma perchè io devo vedere che azzannate cibi che vi si sparpagliano addosso, sulle maglie, sciarpe, cappotti, giacche, insozzandovi di pomodoro, maionese o marmellata e crema, mentre voi a bocca aperta continuate a parlare mettendo in evidenza i vostri boli alimentari predigeriti? E poi con le mani unte vi affannate a toccare chi vi sta accanto o l'oggettistica che vi circonda, magari entrando in un negozio o impiastricciando le vetrine davanti alle quali vi siete fermati?

Ma non basta, mentre parlate e masticate contemporaneamente, ai vostri figli, a cui avete messo in mano altrettando cibo, cade un pezzetto in terra e come nulla fosse voi lo raccattate e ci soffiate sopra dicendo: "E' buono lo stesso", e avanti così.

Arriva l'ora di pranzo e se non andate a casa a mangiare fate una sosta al ristorantino, o in trattoria, e questo vale sia in estate che in inverno, e anche il più figo impiegato di banca, scopre le sue carte a tavola. Inutile che ti metti in doppiopetto, con la cravatta di Marinella quando immergi la tua faccia nel piatto succhiando come un' idrovora in piena azione la pietanza. Hai forse i tendini delle braccia bloccati o i gomiti incollati al tavolo? E il tovagliolo? Un optional con una soprattassa? E che dire del fatto che mentre bevete gorgogliate come mulinelli?

Io sono forse strana, ma a volte mi sembra che il mondo sia diventato una porcilaia a cielo aperto. Nessuno vieta di fare uno spuntino o una colazione fuori, anzi, spesso è un piacevole diversivo in una giornata stracolma di impegni di lavoro e familiari, ma fare ricorso ad un minimo  di classe in un mondo dove tutto si compra con la carta di credito, non ha prezzo. 


mercoledì 6 gennaio 2016

Riflessione post Capodanno

Ed è passato anche il Capodanno, e milioni di persone guidate dalla mania collettiva dei festeggiamenti si sono riversate nelle piazze, nei locali, nelle discoteche, in nome di una frenesia improntata al divertimento per forza. Guidata dalla mia secolare introversione mi chiedo cosa vada a cercare la gente in questo stordirsi al freddo, sotto la pioggia o la neve, stipati gli uni accanto agli altri, immersi nei frastuoni prodotti dalla musica ad alto volume, le voci, le urla che si mescolano insieme in uno stonato mix stridente.


Come sempre si contano gli incidenti dovuti agli incauti usi di giochi pirotecnici mal gestiti o acquistati nel posto sbagliato, o fatti in casa, danni vari per vandalismo di ubriachi festeggiatori che si sono aggirati insieme al gelo nelle strade delle città, qualche rissa scoppiata a causa di troppa eccitazione degli animi e potrei continuare. Io confermo la mia controtendenza ai soliti e triti costumi della società, imposti da convenzioni accettate senza nemmeno porsi una domanda: cerco la pace e il silenzio e in pace e silenzio me ne sono stata, lasciando che i rumori di questa notte si perdessero lontano dalla mia stanza.

Sono una che rimane volentieri con se stessa, al contrario di chi invece ama far gruppo e chiasso forse perchè star soli con se stessi li induce ad ascoltare un vuoto che non riescono a colmare, perchè il valore predominante continua ad essere un mero materialismo che non lascia spazio a pensieri diversi da ciò che ha un prezzo. Mi chiedo poi cosa ci sia da festeggiare, credo che il nuovo anno dovrebbe essere accolto in altro modo, in particolare questo. Non mi pare che vi siano grandi cose a cui brindare se non alla speranza che questo 2016 possa essere foriero di cambiamenti concreti.

Sinceramente è questo che mi sono soffermata a pensare nella mia pace e nel mio silenzio, questa scorsa notte, accompagnata da una fetta del panettone che ho fatto e da un calice di spumante, fra le mura di una casa che posso definire tale perchè piena dell'amore della mia famiglia a cui devo quello che sono e che ringrazio ancora per avermi dato i valori che alimentano la mia esistenza e il mio pensiero scevro da ogni consumistica dipendenza.

domenica 27 dicembre 2015

Non ho mai portato l'orologio

Una sorta di frenesia ancestrale scorre dentro le mie vene, l'assillo che manca sempre il tempo, che mi costringe a ritmi serrati, a velocità improprie. Sono lenta, la  calma contemplativa una necessità. Non ho mai potuto soffrire quel continuo pungolìo cui ero sottoposta: sbrigarsi, sbrigarsi. Ma sbrigarsi a far che? Il tempo mi ha dichiarato guerra da sempre e io l'ho avvertito appena l'ossigeno è entrato nei miei polmoni. Subdolo ha iniziato ad avvelenare la mia infanzia iniettando gocce della sua cicuta nella mia mente, gelando le mie membra lentamente, affichè io fossi consapevole del suo orrido cannibalismo.

Esso è perenne tortura, che mi sussurra la sua superiorità e nella mia più profonda e primitiva memoria, ha smosso sfocate immagini di tempi privi della sua tirannia,  momenti di contemplazione e di gesti misurati solo da antiche albe e tramonti, dell'infinito percorso dell'infuocato carro del sole.
Ma come un infestante parassita egli si attorciglia al mio corpo etereo crocifiggendolo, nel tentativo di alimentare l'angoscia, la sua fedele arpia, sozzo strumento della mia cosciente consapevolezza delle sue razzie.
 
Non ho mai portato l'orologio, sul mio polso esso è una camicia di pece, l'insostenibile peso che piega la mia testa alla sua schiavitù. Hanno tentato invano in famiglia, mascherando il suo velenoso ticchettio dietro la lusinga di un'apparente bellezza ornamentale, ma non ho mai ceduto i polsi ai ceppi di quelle manette.

Le ore scorrono precise nel mio corpo come linfa vitale, senza bisogno di nulla. Di ogni giorno conosco l'ora esatta e i minuti, siano giorni di sole o di nera pioggia. Non sono mai arrivata in ritardo ad un appuntamento, e non ho mai avuto bisogno della sveglia perchè i miei occhi si aprono esattamente all'ora in cui devono aprirsi, nè un minuto prima nè un minuto dopo.
E' la mia lotta intestina contro gli strali del tempo, contro le sue soffocanti spire infinite, una lotta la mia, che si perde nei nebbiosi, quasi ignoti percorsi di antiche, strane vite, di tanto tempo fa.


domenica 20 dicembre 2015

Gigioneggiare

A volte capita: ciondolare, dormivegliare, ronfare. In effetti poi, ieri sera,  mi sono ritrovata come avevo anticipato, con la testa reclinata all'indietro e la bocca vergnosamente aperta, bolla inclusa: tutto il pacchetto all in one, prendi e porta a casa. Oggi è andata meglio, che fortuna per me. 

Mi sono svegliata senza avere gli occhi piombati, e questa è stata una sensazione gradita a tutto il corpo, forse anche alla gambina non collaborante, che però, si è dissociata comunque, penso sia una ripicca o un tentativo di ricatto in cui mi impongo di non cadere. In cucina sono approdata camminando e non pattinando, ma sulla brioscina Londi mi sono avventata ferocemente. Del resto anche il mio specchiarmi è stato meno traumatico, il viso era più disteso e non v'era segno di passaggio di trattore.

Con queste premesse sono uscita per la camminata gambino-stimolante con rinnovato vigore, approfittando del fatto che dovevo espletare alcune commissioni, fra cui un acquisto in farmacia e anche qui altra perla di saggezza che mi sono dovuta subire. Come al solito la farmacia era gremita di gente, potrei dire che la gran parte dei clienti vociava di influenza e disturbi parainfluenzali, mentre un'invadente signora tiranneggiava una delle dottoresse davanti ad un aerosol nuovo, all'angolo dedicato ai prodotti di bellezza, c'era la commessa che mi serve di solito. Era da tempo che non mi vedeva, ma delle mie vicissitudini operatorie aveva avuto notizie. 

Con la sua squillante voce mi ha accolta anche lei esclamando che non mi aveva mai vista più in forma di così (stile la signora conoscente di mamma descritta ieri)......se avessi potuto le avrei dato un centinaio di piattonate sulla pianta dei piedi, per darle giusto la sensazione di cosa provo io quando cammino, senza per altro aggiungere il dolore al nervo.  Ha chiacchierato da sola per dieci minuti abbondanti, notando secondo lei, qualcosa di diverso nei miei capelli, inducendomi a sottolineare: "Sono sei mesi che non mi vede, si sono allungati!"

Dai discorsi blaterati che la mia mente ha selezionato, deletandone circa il 90 per cento, ho solo intuito che, siccome sono una persona sorridente, è gioco forza che stia bene no?  Fortuna per lei che il mio lato diplomatico vince quasi sempre. Sono uscita dalla farmacia sbuffando come una locomotiva, e ho completato il mio giro passando dal lungomare, almeno avrei concluso la camminata senza incontrare inopportuni scocciatori detentori di saggezza salutistica. Sono rientrata a casa fiera di essere riuscita a mantenere la gambina abbastanza elastica, nel frattempo mi sono messa a "gigioneggiare" su come terminare la mia lettera in inglese ad amici di New York, con cui ho deciso di mantenere una corrispondenza scritta, per il gusto di scrivere una lettera e concedermi un momento di meditazione di fronte ad un bel foglio di carta da lettere. Non sapete cosa significa gigioneggiare

Gigioneggiare (non nel senso del dizionario sia chiaro, se non forse, per alcuni aspetti esteriori) è un verbo che non indica propriamente un'azione, ma più un modo di fare-non fare gratificante, che può mettersi in pratica sia in solitudine o in compagnia delle persone a cui si vuol bene. Si può gigioneggiare sotto la doccia, al pc, davanti ad un libro (cosa per altro che faccio spesso; pare che vi siano persone che se le togli dai libri non sanno fare altro, io sono fra quelli, anche se prima del problema alla gambina ero parecchio sportiva); ma più bello ancora è gigioneggiare con i propri familiari o amici. 

Io gigioneggio con mamma, spesso e volentieri, coinvolgendola in giochi di parole o discorsi senza senso, leggendole i contenuti dei miei post o mimando vecchi cartoni animati e canzoncine, tutti spunti per scrivere e soprattutto per ridere e sorridere, dimenticando così i problemi alla gambina, la mancanza di lavoro causa scadenza contratto, e altre piccole infelicità. Insegnerò il gigioneggiare anche a mio nipote Leonetto, affinchè possa sempre avere un'alternativa creativa agli intoppi della vita e alla noia, e riesca a vedere il lato comico di ogni situazione.


sabato 19 dicembre 2015

Ciondolando, Dormivegliando, Ronfando

Oggi ciondolo in ogni dove, avrei dovuto rendermene conto stamani, quando, aperti  gli occhi, ho avvertito una a me nota pesantezza palpebrale. Ho guardato per un po' il soffitto, poi ho rivolto lo sguardo verso la porta finestra per capire se, dalle tapparelle, filtrava il sole o meno: meno sole più nuvole. 

Nel tentativo di girarmi su un fianco, anzi, forse meglio dire rotolarmi, mi sono resa conto che la gambina anche stamani aveva deciso di non collaborare, il che mi ha fatto desiderare di rimanere distesa, ma la mia prepotente coscienza ha detto no, quindi mi sono trascinata fuori dal letto con gli occhi pesti. Mi sono seduta sul letto e, alla mia memoria ancora confusa si è presentato il ricordo di un sogno notturno, nel quale annaspavo nel buio di una stanza in attesa di qualcosa di pericoloso e che mi ha fatto svegliare nel cuore della notte, arrotolata come un involtino nelle coperte, senza avere la benchè minima idea di dove mi trovavo. 

Aggobbita sono strisciata in bagno, e lo specchio non ha fatto altro che confermare l'idea che rimanere a letto sarebbe stato meglio: avevo il sembiante di chi aveva fatto lotta greco romana con un trattore. Eppur dovevo andare, quindi, con la metodicità di un militare, ho eseguito meccanicamente tutti i gesti mattutini e poi sono andata in cucina pattinando sul pavimento. L'unica azione che ho fatto con entusiasmo è stata avventarmi sulla mia broscina Londi, compagna inseparabile della mia colazione e grazie alla quale si è accesa una certa luce nei miei occhi piombati. Con l'energia di un bradipo stanco sono andata a fare la consueta camminata per incitare la gambina a collaborare spontaneamente con il resto del corpo, ma anche il corpo calloso del mio cervello era disconnesso, e salvaguardare la vita dei neuroni non è stato facile.

Unico desiderio: piombare del tutto gli occhi e sprofondare nel sonno. Come ciliegina sulla torta, durante la mia passeggiata gambino-stimolante, ho incontrato una signora che conosce mamma, la quale si è complimentata nel trovarmi in perfetta forma.... Contenta lei, contenti tutti. Rientrando a casa, mi sono ripromessa di impegnarmi a scrivere i miei post, ma ho sbagliato la previsione, perchè sono stata risucchiata da uno strano torpore, di quelli che ti tengono in una specie di dormiveglia, come quelli dei cartoni animati, nei quali i personaggi hanno la classica bolla al naso, il cui volume aumenta e diminuisce con la normale respirazione. Perciò, mi sono ritrovata alla fine della giornata con un nulla di fatto, due miseri post, questa maledetta bolla al naso che non se ne va e la consapevolezza che fra poco la mia testa cadrà all'indietro e io ronferò a bocca aperta davanti allo schermo del pc.


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