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domenica 13 marzo 2016

TEMPUS EDAX RERUM

Le feste non mi sono mai piaciute molto, ho amato e amo solo le riunioni di famiglia. Era il giorno del mio nono compleanno e avevamo semplicemente festeggiato con un pranzo di famiglia, insieme a zii, cugini e nonni. Una di quelle giornate in armonia, felicemente insieme, con qualche chiacchiera, i giochi, e un brindisi accompagnato da una fetta di torta.

Ma arrivò la sera e con la sera i saluti, ognuno doveva tornare a casa. Fu allora che per la prima volta un'angoscia lancinante mi strinse il cuore. Ebbi come un fremito interno, una sensazione di strappo che mi percorse come una scarica elettrica. Mi controllai a fatica, per non piangere, deglutendo più volte per ricacciare in fondo allo stomaco quella dolorosa palla che mi stringeva la gola.
Quando tutti se ne furono andati, rivolsi a mamma una riflessione: "Il tempo scorre troppo velocemente, si porta via tutto come una valanga, e io non riesco ad afferrare gli attimi importanti della nostra vita. Sto male per questo".

"Tempus edax rerum", mi rispose mamma, "il tempo divora ogni cosa, purtroppo Silvia è così, il tempo scorre e non possiamo fermarlo".
Per me fu come una condanna a morte, ebbi la certezza che quell'angoscia non mi avrebbe più lasciata in pace. E così fu. Ritrovarmi ad oggi è stato un lampo, e io lo sapevo, l'ho sempre saputo, dalla consapevolezza di quel giorno, che mi sarei sentita addosso l'alito del tempo, alito pesante come uno schiacciasassi. Da quel lontano istante, ho sempre cercato di trattenere ogni singolo momento di ogni giorno, di tutte le settimane, di tutti i mesi, di tutti gli anni della mia vita, ma con quella straziante sensazione che tutto stia per finire, con la quasi certezza di non riuscire ad assimilare il presente perchè è pesante come il piombo  solo l'angoscia della fuggevolezza e della fine, il termine di tutto, e non vi sono appigli per rallentare questa corsa.

E così  alla verde età di nove anni seppi che tutto ciò che amavo prima o poi  sarebbe scivolato dalle mie dita, come granelli di sabbia che si vogliono trattenere fra le mani.  Quella frattura non si poteva riparare, non esisteva mastice, nè punti. Potevo solo cercare di abituarmi, concentrarmi sul momento presente, sull'oggi, ora, adesso, ma con una dolorosa spina: tutto ciò che mi appartiene oggi potrebbe trasformarsi domani, nel ricordo di qualcosa che ho perduto per sempre.
Sono ancora qui, a guardare le mie mani, fra le cui dita sono scivolati via i momenti, gli animali e le persone amate.


sabato 30 agosto 2014

L e cinquecento ninfe, come diventare saggi | Varie

Ecco un esempio di come i desideri effimeri della materialità possono inquinare un percorso di purificazione spirituale. Se vogliamo elevarci spiritualmente, dobbiamo liberarci dalla spina del desiderio e per farlo dobbiamo capire profondamente quanto il mero materialismo sia evanescente. Ciò che rimane è la purezza dello spirito, il solo che possa elevarci verso una totale comprensione del mistero della vita. Il percorso è disseminato di trappole, per questo il nostro intento deve essere fermo e risoluto, staccarsi significa annientare l'illusione.


<<Un tempo il Beato si trovava presso Savatthi, nel bosco Jeta, nel parco Anathipindika. E il venerabile Ananda, cugino del Beato, figlio di sua zia, disse ad un gruppo di monaci: "Cari signori, io pratico la castità con sofferenza. Non sopporto la vita di asceta. Voglio abbandonare la disciplina per tornare nel mondo".

Un certo monaco avvicinò il Beato e gli ripetè le parole del venerabile Ananda. Allora il Beato chiamò un monaco e gli disse: "Convoca il monaco Ananda, digli: Ananda, amico mio, il Maestro ti convoca". "Sì Signore" rispose il monaco. "D'accordo" disse Ananda, e venne dal Beato. Ed egli disse: "E' vero Ananda, che tu hai parlato a dei monaci dicendo loro: io pratico la castità con sofferenza, e così via?". " E' vero Signore".

"E perchè la vita di asceta non ti piace affatto, vuoi tornare al mondo?". " Quando ho lasciato la casa una ragazza dei Sakya, la più bella ragazza della regione, mi ha rivolto uno sguardo pieno di promesse e mi ha detto: che tu possa tornare presto, giovane signore. E io ci penso continuamente, soffro per la castità, non sopporto la vita da asceta e voglio tornare nel mondo". Allora il Beato lo prese per un braccio e sparì in un batter d'occhio dal bosco Jeta per ricomparire in mezzo a trentatrè dei. Ed ecco apparire anche cinquecento Ninfe leggiadre, dette "Piè di colomba".

Allora il Beato disse: "Vedi queste cinquecento Ninfe?". " Sì Signore". "Dimmi, cosa ne pensi Ananda: chi è la più bella e piena di fascino, la ragazza dei Sakya, la più bella della regione, o queste ninfe?". " O Signore, di fronte a queste ninfe dette Piè di colomba la ragazza dei Sakya non vale nulla. Non può esservi paragonata, come se fosse una scimmia con il naso e le orecchie mozzati. Queste cinquecento Ninfe sono di gran lunga più belle e affascinanti".

Ciò detto, il Beato prese per il braccio il venerabile Ananda e in un batter d'occhio si dileguò dal paradiso dei trentatrè dei per ricomparire nel bosco Jeta. E fra i monaci cominciò a girare la voce: " Si dice che il venerabile Ananda conduca una vita di ascesi in compagnia delle Ninfe. Si dice che il Beato gli ha assicurato che potrà avere tutte per sè cinquecento Ninfe dette Piè di colomba. Allora i compagni di Ananda cominciarono a dire di lui che era un mercenario, e un domestico: " Il venerabile Ananda è un mercenario e un domestico. Egli pratica la carità stando accanto alle Ninfe. Il Beato gli ha garantito la conquista di cinquecento Ninfe Piè di colomba".

Perciò il venerabile Ananda, infastidito e umiliato dalle dicerie sul suo conto, mentre invece viveva solitario, pieno di fermezza, concentrato e distaccato, avedo rafforzato se stesso, comprese fino in fondo le ragioni per cui è giusto che un giovane nobiluomo abbandoni la sua casa per la vita errabonda, e capì anche qual è lo scopo estremo dell'ascesi: "Distrutta è la nascita, vissuta è la vita, compiuto è ciò che si doveva compiere, non è più necessario essere qui". Così il venerabile Ananda divenne un Arhat, un meritevole.

Allora uno spirito celeste, illuminando con il suo splendore tutto il bosco Jeta, sul finire della notte andò a far visita al Beato e gli disse: "Beato, il venerabile Ananda, pur stando in questo mondo ma comprendendo pienamente grazie alla visione interiore, ha ottenuto il non attaccamento e la liberazione dello spirito". E il Beato seppe che era così. E quando, prima dell'alba, Ananda venne da lui e gli disse: "Signore, ti sciolgo dalla promessa che hai fatto di farmi possedere le cinquecento Ninfe Piè di colomba", il Beato rispose: " So quello che vuoi dire. Uno spirito celeste mi ha informato. E poichè il tuo spirito è libero da vincoli, Ananda, anch'io mi sento sciolto dalla promessa". E intuendo il significato di tutto ciò disse questo verso ispirato:

"Il monaco che ha attraversato la palude, cha ha distrutto la spina del desiderio, che ha saputo annientare l'illusione, non è più scosso dalla felicità nè dal dolore".
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