Simply

Visualizzazione post con etichetta inferno. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta inferno. Mostra tutti i post

giovedì 7 gennaio 2016

La musica infernale in un dipinto

Non sono un'intenditrice di pittura, ma avendo studiato Storia dell'Arte al liceo, e avendo a casa un'intera collezione di libri sui più famosi pittori della storia,  mi sono sempre dilettata a leggerli e guardarli, cercando di capire gli stili, i periodi, i significati, le interpretazioni e più ancora, la genialità. Fra i tanti, un autore in particolare catturò la mia attenzione: un autore olandese, Hieronymus Bosch. Fra le tante opere del maestro ve n'è una, "Il Giardino delle Delizie", dipinto in cui è raffigurato il racconto biblico della creazione, il paradiso e l'inferno, ricco di immagini dai complessi significati, praticamente un rompicapo tutto da interpretare.

In un angolo del dipinto, quello che poi nelle foto viene definito "particolare", è raffigurato un uomo sottoposto a tortura, il quale riporta sul suo "posteriore" una partitura musicale con una melodia. Ricordo che la prima volta che lo osservai mi chiesi cosa significasse. Ma al tempo internet non c'era e non era facile reperire informazioni, ma a me l'interrogativo era comunque rimasto così mi sono documentata ed ho scoperto che la leggenda vuole che il brano abbia la capacità di aprire le porte dell’inferno. Non solo, ma una studentessa dell’Oklahoma Christian University, per la prima volta nella storia ha suonato la melodia riportata sulle natiche del dannato. 

Come lei stessa ha spiegato, non è stato molto difficile suonare la melodia che, presumibilmente, è stata composta in chiave di DO, come si usava per i canti composti nel 16° secolo. La nostra coraggiosa studentessa spiega che il fine era quello di mettere in evidenza che ci sono effettivamente degli errori nella trascrizione delle note sul dipinto. In collaborazione con il dipartimento di musica del suo college, sta cercando di ottenere una trascrizione più accurata.  Hieronymus Bosch dipinse il Giardino delle Delizie, suo capolavoro, in tre parti tra il 1490 e il 1510, completandolo quando ormai aveva raggiunto l’età di cinquant’anni.  

L'opera è stata ampiamente interpretata  come un monito sui pericoli delle tentazioni e del peccato in vita, ma nel corso dei secoli sono sorte altre interpretazioni stravaganti. Possiamo concludere che l’inferno, è uno dei soggetti preferiti da Bosch, il quale vi ha dedicato una serie di pitture. Nell’opera in questione, l’immagine dell’inferno è rappresentata come un’agghiacciante camera delle torture, dove persone che hanno vissuto nel peccato sono perseguitate dai demoni e divorati da animali  che si nutrono di carne umana. 

E’ interessante notare che alcune delle anime finite all’inferno, subiscono il supplizio della tortura venendo crocifisse su arpe e liuti, in modo che la musica degli inferi sia in opposizione con quella della Terra e certamente con quella Celestiale. Non ci resta che aspettare una nuova suonata e attendere l'apertura degli inferi.


sabato 14 novembre 2015

Il valore di un sorriso

Mi piace sorridere, fa parte del mio carattere e non solo, sono cresciuta in una famiglia che ama sorridere e adora ridere. Sì, si insegna anche questo, conosco persone che non sorridono mai e ridono raramente semplicemente perchè in famiglia nessuno lo ha mai fatto.

E non mi si venga a dire che se si sorride quotidianamente è perchè non si hanno problemi, magagne, o pensieri; i periodi neri, tristi, quelli che sembrano non finire mai, durante i quali si accumulano tristezza, dolore, rabbia, senso di impotenza, fanno parte della vita di tutti noi, me compresa. Ma nonostante tutto, ritengo che il valore di un sorriso sia inestimabile.

Sorridere non significa essere deboli (una immane sciocchezza anche solo pensarlo), nè tanto meno ci espone al ridicolo o fa sì che di noi si mostri il fianco scoperto, e  non è un vento diabolico che deforma il viso, e con esso non si glorifica certo la futilià delle cose.
Sorridere non significa che la nostra anima non piange, non significa che non stiamo sopportando un dolore spirituale o fisico, non significa che non stiamo elaborando un lutto, sorridere significa non far pesare sugli altri il nostro malessere, perchè così facendo possiamo trarne un vantaggio anche noi, significa non scaricare su chi ci circonda malumori di ogni genere e tipo, al contrario potrebbe essere la chiave che ci apre una porta, quel piccolo tassello che manca per la risoluzione di un puzzle complesso.

Sorridere e ridere non sono sinonimo di sprezzo della fede, nè per altro dimostra che andiamo a braccetto con il Demonio. Se il riso uccide la paura (come diceva Jorge da Burgos nel "Nome della Rosa") ben venga allora e benedetto sia il riso che mi aiuta ad affrontare con minore ambascia la vita, non è già un inferno il mondo nel quale viviamo?

Quando gli angoli della bocca corrono ad abbracciare gli occhi, così nasce un sorriso.
E' una medicina gratuita, l'antibiotico che sbaraglia le facce lunghe e i visi bui, che fa bene all'umore, il proprio e quello altrui,  è un regalo che ci facciamo e che facciamo agli altri, un piccolissimo atto di generosità, che dovrebbe nascere spontaneamente, una mossa istintuale, come viene a me, ogniqualvolta i miei occhi incontrano un viso, ed è quello che faccio adesso con voi tutti, pur incontrandovi virtualmente.


domenica 17 novembre 2013

MONNA VANNA DETTA GINA


Monna Vanna, detta Gina, era la mia professoressa di greco e latino ai tempi del liceo. Donna tutta d'un pezzo, di grande sapere e altrettanta disciplina. Severa, anzi severissima, era il terrore di tutti gli studenti. Il suo passo risuonava per i corridoi, come fosse quello del boia che stava andando a giustiziare il condannato, quando entrava in classe, la salivazione di noi ragazzi si azzerava totalmente, e una strana sensazione si impadroniva dei nostri corpi. Era la paura. Molti di voi si domanderanno: il terrore era legato alla coscienza sporca di chi non aveva studiato? No, era semplicemente legato a lei.
Potevi aver studiato di tutto e di più, ma lei incuteva comunque terrore, e sapete perchè? Perchè era in grado di parlare il greco antico come parlava italiano, la sua lingua madre.
Traduceva qualunque cosa, anche un solo verbo buttato lì, aveva una memoria incredibile, ed era in grado di recitare in greco antico Iliade, Odissea e lirici greci in metrica.
Ora, di fronte ad una donna così, ma che dico donna, forse essere di un altro mondo,  proveniente direttamente dal V secolo avanti Cristo, voi come vi sentireste? 
I suoi medoti erano semplici, ma avevano pur sempre il sapore delle torture della Santa Inquisizione spagnola. Lei, a differenza degli altri professori, interrogava a spron battuto tutti i giorni, e la cerimonia pre interrogazione era un lento stillicidio di sofferenza per noi alunni.
Apriva il registro, nel silenzio sepolcrale che lei stessa aveva creato entrando in aula, si sentivano solamente il fruscio delle pagine e il lieve colpetto di tosse con cui si schiariva la voce. Prendeva la sua penna personalizzata, alzava la testa per scrutare tutti noi, che, statue di cera, la fissavamo in trance, con il sangue che pulsava nelle tempie e il cuore in gola.
Poi con grande concentrazione cominciava a scorrere i nostri nomi dall'alto al basso e dal basso in alto, aiutandosi con la penna: non si sapeva mai per quanto tempo lo facesse, era imprevedibile. 
Durante quegli interminabili minuti nelle nostre teste si sentiva solo il suono di un pendolo, sì quello che scandiva le ultime ore di un condannato a morte. DON, DON, DON.......
Poi con un gesto fulmineo come l'attaco di un cobra dagli occhiali, la punta della penna cadeva su un nome e lei lo pronunciava. Il chiamato al sacrificio si alzava, senza alcun controllo su se stesso, mentre gli altri, madidi di sudore freddo, appoggiavano la fronte sul banco per qualche secondo, poi iniziava l'interrogazione. Stessa cosa accadeva il giorno del compito in classe, greco o latino che fosse. Lei arrivava con il suo incedere, la fotocopia della versione per noi tutti in mano. Spostava sapientemente i banchi, distanziandoli, in modo tale che fosse impossibile la comunicazione verbale e non, distribuiva la versione, e poi la leggeva. Era il momento topico, bisognava stare ben attenti all'inflessione della voce, dove faceva una pausa, lì bisognava mettere una virgola o fare un segno, poteva essere la svolta per capire il senso della versione. Poi il nulla per due ore, tranne qualche sospiro disperato, e il rumore delle pagine del vecchio Rocci o del Badellino-Calonghi che scorrevano fra le nostre dita. Al termine delle due ore, sui nostri volti i segni di quella tremenda pugna, e le relative conferenze che ne scaturivano.
Poi iniziava l'attesa, sì, quella del giorno in cui avrebbe riportato i compiti corretti. Erano giorni in cui l'Inferno si materializzava sulla terra, i peggiori dubbi tormentavano le nostre anime, ma ormai ciò che era stato fatto non si poteva cambiare. Quando entrava con i fogli protocollo sotto il braccio, molti chiedevano il permesso di andare in bagno, e ho detto tutto. Ma quell'amaro calice non poteva esser allontanato, Monna Vanna consegnava sempre a me il fascio dei fogli protocollo e a me toccava consegnare i compiti corretti, sistemati in ordine crescente, quindi dal voto più basso a quello più alto. Sono passati ventidue anni, e ancora oggi, nei periodi in cui sono maggiormente sottoposta a stress, ricevo le visite di Monna Vanna, detta Gina, nei miei sogni, con la penna in una mano e i compiti nell'altra. Eppure dopo tutti questi anni, di fronte ad un testo greco o latino, sono ancora in grado di tradurre.
Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.