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sabato 2 aprile 2016

Il bialbero di Casorzo: un caso strano

Madre natura non è come noi esseri umani, così prepotenti e intolleranti, alla ricerca di uno spazio nostro di cui siamo gelosi custodi. Noi, nella maggior parte dei casi non riusciamo a vivere in armonia con ciò che ci circonda, ma siamo portati prevaricare l'ambiente circostante per il nostro esclusivo interesse. Ci sono invece degli esempi  da cui dovremmo seriamente imparare e prendere spunto, come il Bialbero di Casorzo.

La natura ci offre esempi davvero particolari di coesistenza pacifica fra specie viventi e del tutto particolari, come il caso del Bialbero di Casorzo, in provincia di Asti. Di che si tratta? I protagonisti sono un ciliegio e un gelso, e in questo caso il ciliegio è pacificamente cresciuto sul gelso, ed entrambi gli alberi sono di dimensioni ragguardevoli.

Si tratta di un caso singolare di albero parassita, proprio per le dimesioni raggiunte dal ciliegio, circa 5 metri di altezza. Benchè noto, questo fenomeno è raro e lo è ancora di più perchè in genere l'albero parassita ha dimensioni estremamente ridotte e solitamente una vita piuttosto breve. Qui invece gli alberi hanno dimesioni normali e stanno benissimo.


Come abbia fatto il ciliegio a crescere in maniera così insolita nessuno lo sa, l'ipotesi è che forse un uccello ha lasciato cadere un seme sul gelso, e le radici devono essere cresciute attraverso cavità nel tronco di quest’ultimo. In ogni caso abbiamo l'esempio di pacifica e salutare convivenza un simbolo e un esempio su cui dovremmo riflettere anche noi.

sabato 19 marzo 2016

DI ALCUNI VENDEMMIATORI E DI UN PENNUTO

I vendemmiatori hanno sistemato un tavolo ed alcune sedie sotto il gelso, così vi si accomodano durante la pausa pranzo dalla vendemmia. Si portano dietro una borsa frigo con delle vettovaglie, il vino, il pane che poi sistemano sul tavolino e ivi mangiano di gusto. Son belle giornate e l'aria al quanto tiepida favorisce una piccola siesta sotto il gelso che, con i suoi rami forma uno splendido ombrello verde, una sorta di gazebo naturale.

Stanno lì, placidamente seduti, con la calma tipica di chi conosce da tempo immemore questo rito antico, senza che nulla turbi i loro gesti. Ma nella calma rurale in cui tutti sono immersi, qualcuno spia curioso la novità di questi giorni. Dall'alto dei rami del gelso, o ancor più in alto dalla quercia ai margini del giardino, che confina con la vigna, la ghiandaia studia ogni gesto, ogni movimento; ascolta ogni parola e ruota il capo.


Terminato il frugale pasto, i vendemmiatori ritornano alle fatiche usate, lasciando sul tavolo sotto il gelso qualche mandarino e chicco d'uva. Tutto tace intorno, e nella quiete del meriggio autunnale, solo qualche farfallina svolazza inquieta sulla lavanda. Ma per qualcuno è invece il momento di agire, profittando del fatto che tutti sono occupati in altre faccende.

Mi son nascosta dietro la tenda che potegge l'ingresso di casa dalla comunità di cimici che prospera felice in questi giorni in giardino, la porta è aperta, perchè il tepore possa entrare e riscaldare questi spessi muri di pietra. Velata come sono, non son visibile dall'esterno e lo sciocco pennuto plana placido sul tavolino abbandonato dai vendemmiatori, accompagnandosi con il sommesso gracchiare della sua voce roca.

"Ve l'ho fatta umani!" sembra dire con sarcasmo. Ma per prudenza scruta a trecentosessanta gradi la zona, e dopo il giro di ricognizione, si appropria dei mandarini e dell'uva che becca con gran gusto e soddisfazione, tacchineggiando felice sul tavolino, petto in fuori e lampo maligno negli occhi.

Dato che niente e nessuno distuba il lauto pasto, il pennuto sotto le mentite spoglie di una ghiandaia, si è rilassato ed è andato ad accomodarsi su una sedia e poi ha tentato di infilarsi nella borsa frigo rimasta incustodita, ma purtroppo essa era chiusa.

Nel frattempo io sono uscita da dietro il mio osservatorio, e mi sono recata con grande indifferenza a prendere del coriandolo dal lato opposto rispetto a dove si trovava il pennuto in meditazione. Ho preso il coriandolo e sempre con indifferenza, come se in giardino non ci fosse nessuno, mi sono recata verso casa. Callido come il ladro di Baghdad il pennuto si è nascosto dietro la borsa frigo e mi ha fatto una gracchiatina.

"Niente paura" gli ho detto "è il periodo della tregua autunnale!" E annusando il coriandolo sono rientrata in casa.




sabato 27 febbraio 2016

ANTONIO E LO SPOLVERINO BLU

Antonio indossa uno spolverino blu, uno spolverino che mi ricorda quelli indossati dai vecchi vetrai, intenti nel loro lavoro in ampie botteghe, dove le schegge di specchi e vetri colpite dal sole, si trasformavano in prismi diffondenti arcobaleni di luce colorata. Erano botteghe dove odori di colla e polvere si mischiavano in armonico profumo, proprio di quell'attività. Ma lo spolverino di Antonio non è adibito a quell'uso.

Egli lo indossa per un ben preciso scopo: andare sotto l'albero del gelso a raccogliere le scure more, che sugose occhieggiano dietro le larghe foglie, vestito di rami flessibili. Le more del gelso cadono nelle mani di Antonio, che le ripone sapientemente in una grande ciotola di plastica bianca; sono così mature che a volte il loro sanguigno succo gli tinge le mani e le gocce purpuree macchiano lo spolverino blu.


Le mani di Antonio sono grandi e forti, costellate di qualche legnoso nodo come il tronco del gelso, ma pur nella loro ampiezza, esse sono delicate e leggere, tanto che le fragili more vi trovano morbido letto. Da sotto il gelso si sente Antonio che parla con il merlo, che un po' indispettito si sente deufradato di tanto cibo e saltella nevoso da un ramo all'altro, mentre un gelosa ghiandaia lancia qualche roco avvertimento perchè il suo territorio è stato invaso da un gigante blu.

Io mi godo la scena dalla finestra, osservando i movimenti, ascoltando in silenzio i dialoghi fra Antonio, il merlo, la ghiandaia, nella pace spirituale di un giardino di cui mai rivelerò le coordinate, dove tutto è possibile, dove si fa il pane fatto in casa e torte che odoran di forno.

Con Antonio e il suo spolverino blu si parla di pesca, di tartufi,  delle piantine di pomodoro, di alberi da frutto e della situazione internazionale. Ci si siede in giardino a guardare il tramonto, mentre un batuffolo di pelo nero corre sull'erba con le sue zampette corte, regalando ad Antonio, al suo spolverino blu e a me, un attimo di paradiso.

giovedì 26 novembre 2015

Quando il colore fa la differenza: gelso bianco e gelso nero

Nel piccolo orto-giardino di una mia cara amica, vivono beati e lieti due splendidi alberi di gelso.  Sono di due qualità diverse, uno produce frutti neri, l'altro frutti bianchi.
Il gelso, originario della Cina, era già noto presso i Romani, che lo sfruttavano soprattutto per la coltivazione del baco da seta. I suoi frutti, succosi e dissetanti, hanno un sapore molto delicato, zuccherino. Dato che le varietà sono appunto due, quello nero e quello bianco, vediamo le differenze. 

I frutti del gelso nero sono ricchi di antociani, preziosi antiossidanti che ritroviamo in tutti i vegetali di colore nero, viola e rosso. Svolgono un’azione vaso protettrice, contengono acidi organici e glucidi. Le foglie hanno proprietà ipoglicemizzanti. E' un ottimo decongestionante, rinfrescante, tonico e lenitivo. Ha proprietà depurative e antibiotiche (che ritroviamo nelle foglie) tanto che anche in passato veniva impiegato in forma di colluttorio per lenire le infiammazioni della bocca e della gola, ma anche contro la tosse e come espettorante.

I frutti del gelso bianco invece, sono ricchi di proteine, tannini, rutina, vitamina A, B, C e secondo evidenze scientifiche, avrebbero una spiccata azione antibatterica, soprattutto nei confronti di quei batteri responsabili delle carie dentali. I gelsi contengono anche un alto contenuto di ferro, circa 185 mg per 100 gr di frutti, e pochissime calorie, circa 43 per 100 gr. In fitoterapia, la maggior parte delle componenti dell’albero del gelso risultano utilizzabili, dunque non solo i frutti ma anche le la corteccia, le radici e le foglie.  In genere, la corteccia viene impiegata mediante decotti, ottimi per la stitichezza, le foglie invece, messe in infusione hanno proprietà diuretiche. Dai frutti si può ottenere un colluttorio efficace per le afte del cavo orale.  In cucina, il gelso è protagonista di confetture, gelati, creme e yogurt, ma non potete immaginare che soddisfazione raccogliere i frutti dall'albero e mangiarli direttamente.
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