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giovedì 14 luglio 2016

Cenni sulla Bieta Erbetta

Cenni sulla Bieta erbetta le cui proprietà erano già conosciute dai Celti e dai Romani che l'apprezzavano come contorno ai più svariati piatti, ma ance lessate e in minestre

Beta deriva dal celtico e significa "rosso" per via della costolatura e della radice che rosseggiano; vulgaris deriva dal latino con significato di "molto comune" . La bieta, detta anche erbetta, nella sua specie originaria, detta Beta marittima, fu oggetto di raccolta alimentare fin dalla preistoria, essendo diffusa spontaneamente nei litorali sabbiosi del bacino del Mediterraneo. Tanto pregiata era la pianta, che le selezioni per ottenere foglie più grandi cominciarono addirittura 3000 anni fa ad opera dei Babilonesi.


Già i Romani ne annoveravano diverse varietà: una bianca, una rossa e una a coste sottili che diede vita ai piatti betacei di Apicio. Questi smentiscono il pesante giudizio di Marziale che reputò le "inconsistenti biete" mero cibo di operai, anche se è pur vero che le classi povere ne facevano gran consumo. Ma, mentre queste si accontentavano di mangiarle lessate o in zuppe di verdure o facendone cuocere le radici sotto la cenere, i gaudenti del tempo le ricercavano come gradito contorno a piatti più sostanziosi.

Altre prevenzioni, poi, le circondarono ad onta del loro vasto consumo. Plinio, ad esempio, pur descrivendone le diverse varietà, asse riva che erano malsane. Col passare del tempo ogni pregiudizio si dissolse e la bieta continuò ad essere presente in tutte le nostre cucine. Nel corso dei secoli, dalla bieta originaria sono state create le erbette da orto con superficie grande, le coste, le rape rosse e quelle da zucchero. Dal punto di vista medico, vediamo cosa diceva, nel XIV secolo, il Tacuinum sanitatis in medicina: "... il loro succo toglie la forfora dalla testa e scioglie il ventre. Taluno, a quest' ultimo effetto, indica la radice raschiata col coltello, ricoperta di miele e un poco di sale e adoperata come supposta. Il danno delle biete è che impediscono la digestione, a motivo dell' umidità e della natura lassativa, e che bruciano il sangue. Convengono, nell' inverno, ai vecchi" .



martedì 5 gennaio 2016

Cacciucco

CACCIUCCO: è la famosa zuppa di pesce di Livorno e della Versilia, e non ha nulla a che vedere nè col brodetto adriatico, nè con la bouillabaisse marsigliese, nè con la romana "zuppa alla marinara". E' una specie di succulenta opera e ballo, minestra-pietanza-contorno tutto insieme; un trionfo di sapore di profumo con una nome dialettale livornese (qualcuno dice CACIUCCO, derivato dal turco kukut che vorrebbe dire "minutaglia").


La sua ricetta è antichissima (i Foci la esportarono in Provenza, Petronio la fece conoscere a Nerone) e da Livorno a Viareggio, lungo il litorale tirrenico, può variare a vantaggio o a svantaggio dell'aggressività piccante e del potere infocante, a seconda dell'uso locale.

Com'è fatto il vero cacciucco dei pescatori lo rivela una vecchietta viareggina nel Tìramo a campà  di Anotnio Morganti, e vale la citazione. In dialetto naturalmente:

"Il cacciucco è 'l cacciucco e basta, Quando si vol di' di tante 'osce mescolate, o 'un dimo che era cacciucco? E allora ci vole anco il miscuglio di pesci se vol esse' cacciucco. Se lo voglino fa' senza 'ppescai co' le lische, ni mèttino un antro nome e 'un offendino il nostro cacciucco. Per fa' bono l' cacciucco ci vole la su' triglia, la su' boga, il su' fraulino, il pescio capponem il capocchione, la storzola, una bella tràcina, e po' la seppia, il polpo, il gronzo, un po' di palombo, le ceàle e più quand'eno 'ncorallate.

"Ma ne lo fai col peporone?
"E se no di 'he ssa? Mario di Bombetta bon'anima diceva che peporone rinfresca e che fa meglio del pepe
"La mi' nòra un celo vole.
"Però n'ai a ddì alla tu' nòra, annanzi che avecci d'intorno le' ci vorèi, bello pezziente, un peporone laggiù in duve 'un ci batte 'l sole! Lo voi fa' bono il cacciucco? Mètte al foo il laveggio, coll'olio assai e un bel battuto fino fino d'aglio e di peporone di vello rosso. Quando smette di schioccà, titici mezzo bicchiere di vino bono, ma sta' attenta che 'un sii di vello dolce; quand'è ritirato il vino, buttaci la seppia e 'l polpo tagliati a pezzi; le granfie io ne le lasso saneperchè po' mi garba ritrovaccele; vesta seppia e il polpo devino arosola' ammodo e quando t'accorgi che eno arosolati addoci tutto co' una tazza o due d'acqua calda e conserva, giusta, di vella bona o il pumidoro ma di vello fresco quando c'è. Qunad'è sull'olio, burra giù 'ppesci, un quarto d'ora e' l cacciucco è fatto. Inatanto a parte, devi avè preparato nella zuppiera le fette del pane, di vello che pare fatto 'n casa, abbustolite e agliate; ci tiri sopra il cacciucco, aspetti che 'l pane sia 'nzuppato e po' serviti e mangia con pro che mangi bene"



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