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domenica 21 febbraio 2016

Andare a gatta, andare alle ballodole | Parole e verbi in disuso

ANDARE A GATTA: andare in cerca di donne di malaffare. Anche andare dalla fidanzata presupponendo un certo petting.

ANDARE ALLE BALLODOLE: è uno dei tanti modi fiorentini per significare morire e, per traslato, ridursi in miseria. Le Ballòdole era una località presso Firenze vicino al cimitero di Trespiano, che è il più grande della città; è probabile che in antico il cimitero fosse proprio alle Ballòdole, perchè il detto è vecchissimo. Il nome deriverebbe da Valle delle Lodole: ormai a ricordare la località è rimasta solo la Via delle Ballòdole. In genere i toscani, per superstizione, per sdrammatizzare e anche per un innato amore dissacratorio, preferiscono usare il verbo  morire il meno possibile. Sono stati contati più di duecento modi popolari per significare morire senza mai dirlo. Eccone alcuni  fra i più curiosi e frequenti:
Andare a babborivéggioli cioè a rivedere il babbo morto
Andare a Patrasso cioè ad patres suos
Andare a Trespiano, il luogo, appunto, dove si trova il cimitero di Firenze 
Andare da Boscarìno, la trattoria di Boscarìno era vicina al cimitero di Firenze
Andà a pallétte, è usato nel Pisano


 

sabato 2 novembre 2013

PULVIS ES ET IN PULVEREM REVERTERIS

No, non vado quasi mai al cimitero, i miei dolori me li porto dentro ogni giorno, sono un bagaglio, che abita dentro di me. A che guardare un sepolcro, e sostare davanti ad una tomba? Ho dentro tutto il ricordo di coloro che non ci sono più, vivo e forte.
Quel dolore non se ne va mai, è arpionato dentro, ci ho fatto l'abitudine, ma è lì, con le sue crisi acute, che si alternano a periodi di lieve sollievo, nel susseguirsi dei giorni.
Non vado al cimitero, come molti, che ogni giorno sono in pellegrinaggio alle tombe dei loro morti, guardare una lapide non mi basta, non mi consola, non allevia il mio dolore. L'assenza e il vuoto, questo è il cimitero che visito tutti giorni. 
Lì vi sono sentieri infiniti, che percorro pensando a  chi  mi ha lasciato anzitempo, non una foto sbiadita che mi guarda da un freddo granito, non i fiori appassiti, non le foglie stanche, che pugnalano i miei occhi, non le lettere in ottone, quelle fredde date che come un passaggio a livello delimitano il tempo passato in questo mondo.
Non vado al cimitero, non sopporto le chiacchiere inutili di quelli che incontro a fare il giro delle tombe, che commentano la vita di chi ormai vita non è più, ai morti non importa. E non importa a me, perchè per le chicchiere vi sono altri luoghi, e il cimitero è il luogo del silenzio, il luogo del rispetto, e tuttavia non mi piace. Non rifiuto la morte, essa fa parte della vita, senza l'una non v'è l'altra, ma  associo il cimitero a una prigione, un confino che serve a noi per tenere incatenati qui, coloro che ci hanno lasciato. 
Affidiamo al vento, all'acqua le ceneri dei nostri morti, lasciamo che se ne vadano, è inevitabile che portino con sè anche una parte di noi, ma il loro compito  qui è finito, e la mia mente rifiuta di incatenarli in queste silenziose città dove brillano solo lumini notturni.
"Pulvis es et in pulverem reverteris (Polvere sei e polvere ritornerai)", e lasciamo dunque che la madre terra,  si riprenda ciò che ha dato, quando la scintilla divina ci ha creato.

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