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domenica 26 luglio 2015

Aigor, Scene dal precariato lavorativo

L'headquarter era in gran fermento, si preparava un'importante manifastazione velica. Tutti erano emozionati, anche Charlie, che di solito non lasciava mai trasparire sentimento alcuno.
Bosley era sfiatato per il gran da fare, lavoro al quale non era abituato, doveva correre in lungo e in largo per tutto lo Uaisipiei, controllare la logistica, contattare autorità, definire date, stabilire orari, dare disposizioni allo staff di Re Sugo, far sistemare piante e fiori, far lucidare i pavimenti, occuparsi di permessi e nulla osta, reclutare personale, insomma un lavoro immane per lui, considerando che Charlie gli stava con fiato sul collo, costringendolo quindi a ritmi per lui inimmaginabili.

Povero Bosley era stressato, sfiatato, con la lingua penzoloni e nessuno che gli dicesse una parola di conforto: la sua anima ne risentiva.
Charlie invece, era pieno di energie, praticamente un uomo bionico, in testa a tutti, coordinava i lavori di messa a lucido di tutto l'headquarter, stilava liste, impartiva istruzioni, faceva telefonate, parlava ai consiglieri, imbastiva piani, tesseva relazioni, nemmeno fosse Camilllo Benso, Conte di Cavour. 

Dal canto suo Zoe doveva tenere a bada tutti gli ospiti di Charlie, che la asfissiavano con domande inopportune, su chi, come, quando, perchè, dove, tanto che Zoe finì  per odiare tutti i loro "se" e i loro "ma". E non era tutto, c'erano da preparare le cartelline che avrebbero raccolto i documenti d'iscrizione dei partecipanti, verificare bonifici, rispondere ogni dieci secondi circa al telefono per dare informazioni, rispondere alle mail, soprattutto in inglese, compito per altro che spettava a lei, perchè erano in due a parlare inglese: Charlie e Zoe (Bosley a fatica sapeva dire buongiorno, e il resto dello staff era come le temperature: non pervenuto). Da non dimenticare che era necessario tenere al corrente i partecipanti sulle previsioni del tempo,  vitale per i naviganti, quindi Charlie volle un computer costantemente collegato al sito delle previsioni, sul quale, i nostri marinai, leggevano l'altezza delle onde, la forza del vento, le eventuali perturbazioni, e quant'altro fosse utile alla loro sicurezza.

Come Dio volle tutto fu pronto, e ognuno si piazzò al proprio posto di combattimento: Zoe, ovviamente, era in prima linea, a vigilare entrata, abbigliamento, documentazione relativa alle imbarcazioni, mentre nel back office si sarebbero discusse questioni più importanti (discusse si fa per dire.....).

E venne il giorno dell'arrivo degli equipaggi da tutto il mondo, dato che la manifestazione velica era un mondiale. Zoe si ritrovò con inglesi, tedeschi, austriaci, polacchi, spagnoli, francesi ( e il loro perenne campanilismo), portoghesi, svizzeri, insomma con tutta Europa e con gli Europei tutto filò liscio, ma l'incontro fatale fu quello che si consumò con i Russi, con l'intermezzo dei Thailandesi.
I membri dell'equipaggio russo erano degli armadi viventi, alti, muscolosi, e potenti, tanto che per guardarli si doveva alzare la testa,  rispettosi e gentili,  parlavano perfettamente inglese, tranne uno: Aigor

Aigor era il tuttofare dell'equipaggio e a differenza degli altri era meno alto, meno muscoloso, secco secco come una scopa, con un paio di baffetti neri che spuntavano sul suo viso allampanato, al contrario dei suoi compagni belli e biondi, e beveva come una spugna. Veniva spedito in ogni dove a sbrigare tutti i servizi possibili, e viaggiava veloce come il vento che riempiva le vele della barca di cui si occupava.

Aveva anche un "piccolo" difetto di fabbricazione: non parlava altra lingua se non il russo!
Questione non da poco questa, infatti ogni santo giorno Aigor si presentava da Zoe sproloquiando monologhi in russo a cui Zoe assisteva praticamente impotente, cercando di arrivare per logica là dove solo un interprete avrebbe potuto, là, dove anche la gestualità tipica dell'umanità non poteva alcunchè, là dove anche il potere di Charlie veniva azzerato. Perciò, appena Aigor arrivava, Zoe gli metteva davanti un blocco e una penna e Aigor faceva dei disegni esplicativi (esplicativi si fa per dire..erano disegnini accompagnati dalle lettere in cirillico) dai quali si poteva con grande sforzo e fantasia, evincere quello che Aigor desiderava (impresa degna solo di un genio della psicoanalisi). Ora, parliamoci chiaro, fosse stato solo per questo, con un po' di pazienza si poteva anche andare avanti, ma Aigor era una mina vagante. Zoe rischiò la vita per tutta la durata della manifestazione, quelli furono giorni in cui i neuroni di Zoe furono quasi annientati dalle esalazioni velenose che Aigor emanava dalla bocca, sì, perchè fin dal primo giorno in cui si presentò al desk, Aigor annientò il respiro e la lucidità mentale di Zoe con fiatate alla vodka, che la stordirono, la anestetizzarono e la spettinarono, facendole diventare ricci, i suoi bei capelli rossi, lucidi e lisci. 

Aigor era logorroico tanto per capirsi, e  persino le ciglia di Zoe furono bruciate dalla "logorrea infectis" del nostro siberiano amico. Ella non mangiò per giorni. Le tornò un po' d'appetito solo quando partì Aigor e quando partirono i Thailandesi. Già, i Thailandesi, tanto gentili, si genuflettevano ad ogni occasione, educatissimi, perfetti, ma la loro pelle era come la carta assorbente, era come se qualcuno li avesse usati per scolare l'olio del fritto dei chioschi all'aperto di Bangkok. Ma che mangiavano tutti i giorni, topi morti? L'odore di fritto e vodka si era installato al desk come un miasma, e a spargerlo come abilissimi untori erano stati loro, Aigor e i Thailandesi e non si riusciva a snidarlo. Ci vollero mesi di Ambi-Pur, condizionatori che riciclavano l'aria e vetri spalancati, mentre Aigor era tornato in Siberia e i Thailandesi al loro take away orientale.


sabato 25 luglio 2015

Gli stivali rossi, Zoe parte undicesima

Zoe amava il rosso più di ogni altro colore, il rosso per lei era simbolo di vita, di passione, del fuoco interiore, del sangue, dei moti di ribellione della sua parte selvaggia, che ancora teneva accuratamente velata, perché a volte ne era intimorita. 

Timore il suo di non riuscire a controllare quella forza che le provocava dei violenti terremoti interni, che le ruggiva dentro, fino a farle sentire l'eco assordante di tale ruggito. Era un ruggito che le attraversava tutto il corpo e che le esplodeva in testa e quando ciò accadeva, Zoe doveva fermarsi, chiudere gli occhi e aspettare.
Fu così che per amore di  quel ruggito e di quella parte selvaggia che abitava dentro di lei, e che ancora le era in parte sconosciuta, decise di cominciare a manifestare fuori, ciò che lottava dentro di lei.

Manifestare quella parte non era facile, non poteva certo presentarla all'improvviso, tutti quelli che la conoscevano pensavano che Zoe fosse  calma, riflessiva, controllata nelle sue manifestazioni, educata, poco propensa agli scatti d'ira, che non parlava mai a sproposito: quanto si sbagliavano!
Dei suoi terremoti interni nessuno si era accorto mai, ma del resto Zoe doveva pur cercare di armonizzare due parti così dicotomiche e contrastanti, non poteva più reprimere quel ruggito, doveva stappare delicatamente il vaso di Pandora che in quel momento il suo io interiore rappresentava.
Pensò e ripensò, si arrovellò, meditò.....poi un giorno mentre camminava per strada intenta a pensare a come fare, si fermò davanti ad una vetrina. In primo piano troneggiavano un paio di stivali rossi, in pelle scamosciata, alti fin sopra il ginocchio. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare, entrò nel negozio, li provò e li comprò. 

Fu per lei come indossare una seconda pelle, e la parte leonina che si agitava dentro di lei cominciò ad uscire allo scoperto, ad ogni passo fatto con gli stivali rossi, scaricava tutta la carica atomica che le albergava dentro. Quegli stivali diventarono il simbolo di una porta interiore che si apriva e che lasciava che esterno ed interno si miscelassero, si amalgamassero, si armonizzassero. Questa operazione chimica non sempre andava a buon fine, come tutti gli esperimenti, spesso c'erano scintille, seguite da esplosioni, e Zoe si trovava sbruciacchiata. Ma gli stivali rossi erano la tessera, la chiave che aveva dato il via alla missione, lunga, difficile, dilaniante, che nel corso degli anni avrebbe fatto conciliare le due anime opposte.


domenica 19 luglio 2015

Spasibo e Dasvidania, Scene dal precariato lavorativo

Ogni giorno all'headquarter ne capitava una, era incredibile, sembrava il pozzo di San Patrizio, buttavi giù il secchio e ne cavavi sempre qualcosa. Tutti gli ospiti di Charlie erano dei personaggi o per lo meno, erano attori inconsapevoli di un teatro dei burattini, un po' come le storie dei pupi siciliani, così coinvolgenti e passionali.

Di solito Zoe aveva la pausa pranzo intorno alle 12:30, perchè alle 14:30 il desk doveva comunque essere coperto, così Zoe e la collega si alternavano. Zoe aveva un ottimo feeling con lo staff di Re Sugo, e le riservavano sempre un bel tavolinetto in veranda, alla fresca ombra del gazebo, da cui si poteva ammirare tutto il golfo, l'azzurro del mare, la piscina, e relativi ospiti. 

Quel giorno, Zoe era tutta intenta a leggere il menù propostole da Re Sugo, e pregustava già un bel piatto di gamberoni all'orientale con un bel bicchiere di vino bianco, ma la sua attenzione fu ben presto attratta dagli ospiti di Charlie che avevano occupato un tavolo proprio vicino al suo. 
Uno degli ospiti,  aveva un grave difetto alla spina dorsale ed era costretto a camminare con delle stampelle poiché non poteva utilizzare le gambe, Zoe ricordava che i genitori lo accompagnavano sempre proprio per questo suo grave handicap, e, data la loro età avanzata avevano preso una badante che potesse aiutarlo, i due anziani coniugi però, erano scomparsi e il loro figlio era rimasto con la badante. 

Al tavolo appunto stavano la badante, che strano ma vero, era diventata la consorte, una giovane e formosa ragazza russa, appariscente come solo il gusto kitsch dei russi sa esserlo, e i fratelli di lei, Sacha e Tasha, due facce da forca, sicuramente appartenenti alla mafia russa che non parlavano se non uno stentatissimo italiano. Il quartetto era arrivato su una Mercedes decapottabile, si era fermato al desk per una formale identificazione, fra un grugnito e un altro di consorte e cognati, e poi erano saliti al piano superiore. Mangiarono a quattro palmenti, festeggiando le trippe e rattoppando lo stomaco, attaccando sughi, macinando a ganasce spalancate, e bevendo fiumi di vino e champagne. Ogni tanto parlottavano, mettendo insieme frasi sconnesse la cui costruzione sintattica rimase un mistero per Zoe. 

Alla fine del pasto, il nostro ospite tirò fuori un astuccio di velluto che consegnò al cognato Sacha,  augurandogli un felice compleanno. Sacha senza nemmeno ringraziare, aprì l'astuccio nel quale trovò delle chiavi, che risultarono essere le chiavi di uno scooter potente. Ci fu un brindisi, ma la nostra badante ebbe da ridire. "Perché tu fatto regalo lui? Anche io voglia regalo!" Il nostro "succubo", rimase sorpreso dalla richiesta della neo mogliettina e con tenerezza le spiegò: " Ma tesoro, ti ho promesso che andremo a fare un bel viaggio, oggi è il compleanno di tuo fratello, e questo è il regalo che gli abbiamo fatto, festeggiamo lui". Ma pensate che alla signora piacque questa giustificazione? No! E infatti con aria imbronciata replicò: " Ya voglia podarok! Da potomu, lui sì , a me menya?" (Anche io voglio un regalo, perchè a lui sì e a  me no?)

"Amore mio" - le rispose il povero cenerentolo - " sii comprensiva, avrai un bellissimo regalo per il tuo compleanno, il viaggio, ma oggi festeggiamo Sacha, è il suo giorno".
Non c'era verso, la signora di Siberia non ne voleva sapere e siccome il suo malmesso marito non capiva, lei glielo spiegò a chiare note, informando anche Zoe e presenti tutti.
" Tu fa regalo me, io voglia podarok, io stata con te stanotte!"

Un agghiacciante silenzio si materializzò per tutta la veranda del ristorante, Zoe tracannò il vino con un solo sorso e si affrettò al bar per un corroborante caffè,  anzi meglio un bicchierino di grappa di moscato, le sarebbe servito a digerire quello che le sue orecchie avevano appena udito ( o forse per un istante desiderò essere sorda...).
Scese al desk, ancora devastata, e con una specie di risolino ebete sulle labbra, ora capiva come certe donne diventavano ricche essendo già naturalmente stronze: spasibo e dasvidania!




sabato 18 luglio 2015

Delfi, Zoe parte decima

La giornata era chiarissima e l'aria del mattino pungeva di fresco, il sole abbagliava Zoe delicatamente anche sotto l'ombra del grande albero sotto il quale stava seduta ad ascoltare il racconto di Panaiotis: era a Delfi. Apollo mio Apollo dove sei? Immersa in questo richiamo mistico, Zoe sentì appena la voce di Panaiotis che la invitava ad assaggiare l'acqua della fonte Castalia, in cui si dice che Teti immerse Achille per renderlo immortale, tranne, naturalmente, il tallone.

La fonte sgorgava pura  e cristallina dalla roccia, era così bella che sembrava l'idilliaca immagine di un cartone animato. L'acqua era freddissima, il suo sapore intenso e corposo, con quella sensazione di viva purezza al suo contatto con i denti. Zoe ne bevve una lunga sorsata, e in quel momento si sentì immortale anche lei, e rinfrancata dal potere dell'acqua, si avviò verso il complesso dove era situato il santuario dove un tempo la Pizia vaticinava. E fu allora che, dopo anni di studio e traduzioni, Zoe vide l'omphalos, il centro del mondo. Una leggenda racconta che, chiunque lo tocchi con entrambe le mani ed esprima contemporaneamente un desiderio, questo si avveri.

Fu così che Zoe corse, come solo Ermes avrebbe saputo fare con le ali ai piedi, verso il centro del mondo, e postevi le mani, espresse il suo desiderio.
Tutta Delfi era intrisa di aria misteriosa e sacra, magia che avvolgeva ogni pietra, ogni iscrizione lasciata dagli antichi pellegrini, ogni pianta e arbusto. Lesse tutti gli ex voto in greco antico, dei soldati in partenza per le battaglie, che chiedevano se sarebbero tornati a casa, di nobili che chiedevano se le loro ricchezze si sarebbero conservate a lungo, di malati che volevano guarire, di donne innamorate che desideravano riunirsi al loro innamorato e li interpretò, e si chiese se la Pizia non sarebbe uscita dal suo antro per vaticinare il futuro anche a lei.
Era certa che Apollo la stesse ascoltando, e  che se anche ormai la Pizia non c'era, in qualche modo lui, le avrebbe risposto, dall'alto dell'Olimpo, che circondato da nuvole, ancora le dimostrava che gli dei erano in casa.






domenica 12 luglio 2015

Micene, Zoe parte nona


La macchina correva veloce sulla strada che dall'aeroporto portava a casa e Zoe guardava il paesaggio che via via andava mutando con aria triste e stanca, faceva caldo,  era quel caldo umido e appiccicaticcio che rendeva scomodo anche il battito delle ciglia.

Stava rientrando, di ritorno dal quel mitico viaggio in Grecia che le sarebbe rimasto nel cuore per sempre. Per lei era stato come rivivere un pezzo di storia antica, quella storia che l'aveva sempre appassionata, per le gesta, gli eroi, i luoghi, le strategie.

I luoghi che aveva visitato, avevano tutti un punto in comune: l'aria ferma, statica, senza tempo; persino quando aveva passeggiato fra le rovine, le sembrava di star ferma. Anche le foto che aveva scattato le avevano lasciato questa impressione: non continuità fra spazio e tempo.
Sperava già di poter tornare, pur avendo in mente anche altre mete a lei care.

Era difficile dipanare, srotolare, quella intricata matassa si sensazioni che spaziavano dalla felicità alla commozione, perché la Grecia era un paese dove si respirava l'aria delle battaglie omeriche, dove si sentiva forte il clangore delle armi, dove il suolo aveva accolto il piede di Milziade, Epaminonda, Leonida, Socrate, Eschilo.....Era il paese che aveva dato i natali a Fidia, il supremo, il sommo, l'altissimo scultore, che era riuscito a riassumere nella sua arte lo spirito greco, l'armonia, la bellezza divina, i sorrisi arcaici ed emblematici, i misteri e la sacralità.
E nel vedere tutto ciò non si poteva far altro che pensare che il popolo greco fosse stato un popolo eletto.

Ripercorse con la memoria le tappe del suo viaggio e tornò a Micene. Questa potente roccaforte sorgeva su una rocciosa altura, protetta alla spalle dalla nuda roccia e, di fronte, dal dominio incontrastato che essa aveva su tutta quanta la pianura circostante fino al mare.
Per entrare nell'acropoli si doveva attraversare l'imponente e minacciosa porta dei leoni che si stagliava maestosa sulle mura ciclopiche che circondavano la cittadella: quale meraviglia architettonica, quale gioiello di precisione potevano ammirare i suoi occhi!

Nello stesso istante in cui aveva varcato la soglia di quella porta, per Zoe il tempo aveva cessato di trascorrere. Gli unici suoni che riusciva a percepire erano le urla di Clitemnestra e di Egisto e gli spasimi di Agamennone, il coro delle Coefore e la vendetta di Oreste. Ad ogni passo Zoe aveva la netta sensazione che qualcuno la osservasse o la seguisse passo passo. Osservava le rovine che la circondavano e ne intuiva la fierezza, l'importanza; dal cimitero interno alla città fino al megaron e là, nella parte più alta si mise a sedere sotto un piccolo olivo che faceva una timida ombra; sentì che quello era il suo posto, che non sarebbe mai voluta andar via di lì, e volse lo sguardo attorno: le colline brulle, le rocce puntute, le mura, le stanze del megaron, si sentiva a casa.

Non riusciva più neanche a pensare, era lì e basta, e una linfa vitale le riempiva le vene. Era sicura che non fosse una suggestione psicologica, era l'intimo del suo io, non si sentiva più di questo mondo, no! Non era più Zoe e non respirava più la sua contemporaneità, non c'era. Intorno a lei non v'erano i turisti, ma Greci, Attici, Tessali che frequentavano Micene. E chi era lei? Questo la tormentava, non aveva coscienza di se stessa e quella condizione nuova la disarmava: era indifesa.
Però stava bene, non pensava più a niente, solo la sua persona lì, quel giorno, a quell'ora: era Venere, era Atena, chissà, Zoe era scomparsa.


sabato 4 luglio 2015

I pappagalli - Zoe parte ottava

La verità era che la realtà delle cose non solo non le era mai piaciuta, ma non l'aveva mai accettata: un esame continuo ogni volta che usciva da casa, dal supermercato alla banca, ai rapporti di amicizia, alle relazioni personali, aver sempre a che fare con un popolo di indici che  puntavano,  squadravano,  guardavano,  giudicavano. L'equilibrio perfetto non esisteva, e Zoe continuava spudoratamente ad inseguirlo, vittima ancora una volta dei suoi sogni di tranquillità.

Una marea di pappagalli che pretendeva di indicarle la strada da seguire, quella vera, vestendosi di una saggezza e di sicurezze sulle quali Zoe nutriva forti dubbi, semplicemente perché lei di dubbi ne aveva tanti e non si capacitava del fatto che incontrava sul suo cammino gente che invece era infarcita di sicurezze. Beati loro, che godevano della loro pseudo vita, sicuri di se stessi, fieri delle loro scelte, del loro comportamento, che sbandieravano ai quattro venti, ergendosi a giudici della vita altrui ( e che ego smisurato!)

Zoe invece si poneva continuamente domande, il perché era orientata verso certe scelte, come mai pensava che prendere certe vie potesse essere sbagliato, valutava i pro e i contro, imprevisti e probabilità. Le sembrava a volte di vivere uno di quegli incubi nei quali  cercava di afferrare qualcosa, ma il corpo era paralizzato, non poteva muoversi, e ciò che voleva afferrare si allontanava precipitosamente da lei.

Ecco che in certi momenti i bivi davanti ai quali si trovava le sembravano insormontabili, tortuosi come mulattiere, bui come notti senza luna, allucinanti come un miraggio nel deserto, mentre la maggior parte delle persone che la circondava prendeva una strada e via così, senza pensare.
Ma le conseguenze? Quanto avrebbe voluto prendere quelle teste e sbatacchiarle sonoramente nel muro: ma ci pensate a quello che fate, a cosa dite, a ciò che poi ricade inesorabilmente su tutti coloro che vi ruotano intorno?

Desiderava, agognava una leggerezza che non le apparteneva, la facilità con cui la gente spesso le diceva: " E che ci vuole?" 
Non era decisamente la sua filosofia, per tutto ci vuole costanza, coerenza, impegno e volontà, quindi costa fatica.  Forse perché lei di fatica ne faceva tanta, perché nulla le era stato dato con facilità, perché per ottenere certi risultati aveva sudato sangue, e spesso aveva dovuto fare più tentativi; non si era mai trovata a camminare su un'autostrada, ampia, larga, diritta e piana, ma per sentieri sassosi, sdrucciolevoli, in salita, invasi da più svariati ostacoli, sui quali era costretta a guardarsi le spalle per tema di agguati ( di cui era anche stata vittima).

Pappagalli che sapevano, già prima di conoscere, cosa era giusto per Zoe, loro sapevano di non sbagliare, erano così fieri di se stessi,  parlavano anche di ciò che non sapevano,  la guardavano come da uno schermo per darle una lezione di vita.
Ma Zoe non si sarebbe mai conformata a questo schema: lei era la pecora nera? La mosca bianca? Allora imprimatur, e per farsi passare la brutta cera, decise di mangiare fichi caramellati con formaggio fresco.

domenica 28 giugno 2015

Charlie e famiglia seconda parte - Scene dal precariato lavorativo

La questione Charlie e famiglia non si era conclusa. Il giorno successivo, Zoe faceva il turno mattutino. Charlie come al solito aveva avuto delle grane da risolvere, doveva partire e si era chiuso nella sua Bat caverna con Bosley, che, per l'occasione, aveva indossato la maschera dell'uomo che non deve chiedere.....MAI!

Gli sbuffi e i rimproveri di Charlie riempivano l'aere dell'headquarter, e per contro un silenzio di tomba regnava nella struttura, solo muti lai in qualche corridoio.
Zoe subodorava corrente elettrica in ogni dove, Charlie era una generatore di corrente continua, Bosley la sua pila.
Gli ospiti nel loro andare e venire si mettevano in punta di piedi, insaccavano la testa nelle spalle e guardavano Zoe con aria interrogativa, uno di essi addirittura di arrischiò a chiedere: ”Ma come fai Zoe a resistere a tutto questo?” Per tutta risposta Zoe mise un dito davanti alle labbra, intimando il silenzio più assoluto, non tanto per paura, quanto piuttosto perché sentire la conversazione era un vero spasso. Quel giorno infatti Charlie sarebbe dovuto partire per la sua consueta crociera nel Mediterraneo, e tutto lo Uaisipiei era in festa, si sa, quando il gatto non c'è, i topi ballano.

Purtroppo però la “Sfortuna”, regina delle rotture di scatole, imperatrice degli intoppi, feudataria delle perdite di tempo, quel giorno prese di mira Charlie che invece non ammetteva l'esistenza di queste situazioni.
A metà mattina nell'headquarter si consumava un festino per la partenza di Charlie, Bosley si preparava a uscire per farsi gli affari suoi, lo staff di Re Sugo preparava prosecchi e salatini per darsi alla pazza gioia, quando d'improvviso, Charlie comparve in sede, nero come solo un uomo posseduto da Lucibello può esserlo, un fumo denso gli usciva dalle nari e anche dalle orecchie, a Zoe sembrò che fosse un reattore nucleare in procinto di esplodere, praticamente in preda alla cosiddetta Sindrome Cinese....

Entrò grugnendo, a testa bassa, e si infilò nel suo ufficio. Zoe vide dal proprio telefono al desk che il suo interno era occupato: stava facendo una telefonata. Nel contempo urlò a Bosley di recarsi da lui. Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi un feroce ruggito: “Il boma in titanio è cadutooooooo! Mandate qualcuno a rimontarloooooooo! Maledetti, incompetenti, vi distruggooooo!”
Zoe per qualche inesplicabile ragione finì sotto il desk, mentre quelli che passavano di lì per caso si bloccarono pietrificati. Bosley borbottava parole incomprensibili, e Charlie gli urlava contro che non era in grado di risolvere la situazione. Furono momenti di vero panico, sembrava che tutti dovessero giocare alla roulette russa tagliando una torta con la dinamite dentro.

Fortuna che “l'udì Febo, e al comando obbedì”, mandando tecnici riparatori a rimontar l'indemoniato boma, ma ci volle del tempo, così Charlie decise di consumare un frugale pranzo al ristorante. Ovviamente lo raggiunse lo Smilzo. Nel primo pomeriggio Zoe si trovava incollata al pc, a rispondere ad alcune mail, quando si presentò il maresciallo dei Carabinieri per un caffè. Stava salendo al piano superiore, ma in quella, Charlie e lo Smilzo stavano scendendo per andare a controllare i lavori. Il maresciallo si proferì in gran saluti allo Smilzo, chiedendogli, dato che era un bel po' di tempo che non lo vedeva, cosa facesse. Ma lo Smilzo non fece in tempo nemmeno a prendere fiato perchè rispose Charlie al posto suo: “Sta in Spagna, il paese d'Europa dove si lavora meno!” Il maresciallo tossì, Zoe fece finta di non aver sentito, lo Smilzo guardò in aria.
Zoe si chiese cosa avrebbe potuto accadere e accidenti a lei, era meglio se bloccava il flusso del pensiero perché Charlie si fermò al desk e le disse: “Bambina rossa, lei non ha riferito il messaggio completo a mio figlio ieri sera, le avevo detto di dirgli che era un FESSO! Se glielo dico io, lei deve dirglielo, come faccio adesso!” e senza por tempo in mezzo, si rivolse allo Smilzo con la più grande naturalezza di questo mondo e a voce alta esclamò: “Sei un FESSO, FESSO e FESSO!” Poi guardò Zoe con dolcezza e: “Visto com'è semplice?”

Ma anche Zoe parlò: “ Ma caro Charlie, le vostre questioni di famiglia non sono di mia competenza, la prego di non coinvolgermi in questi dialoghi fra voi, volenti non fit iniuria!”
“Ho sempre saputo che lei era la mia figlia mancata Bambina rossa, ci vediamo al mio ritorno, andiamo FESSO!”


sabato 20 giugno 2015

Charlie e famiglia, parte prima | Scene dal precariato lavorativo

Pur essendo praticamente onnipotente, Charlie aveva una spina nel fianco, quello che potremmo definire il suo tallone d'Achille: la sua famiglia.
Charlie aveva una splendida consorte, e quattro figli, due maschi e due femmine.

Erano tutti grandi e quasi proiettati nel mondo del lavoro, ma  avendo immense possibilità economiche, si trastullavano in attività alternative dando dei sani grattacapi a Charlie, che spesso, investiva con la sua voce la cornetta del telefono, inveendo brutalmente contro consorte e figli medesimi.

Specialmente lo Smilzo, non dava pace alla povera e tormentata anima di Charlie, che doveva tamponare i guai che lo Smilzo combinava appena muoveva un passo.
Lo Smilzo, fra una gitarella e l'altra in giro per il mondo, era riuscito a finire il suo corso di studi, e in seguito Charlie lo aveva spedito all'estero a fare una specializzazione, ma anche dall'estero, costui era una fonte di grattacapi e pensieri per la mente già ingombra di responsabilità di Charlie, che in ogni caso aveva il suo bel da fare per reggere tutta l'impalcatura dello Uaisipiei e delle sue attività private. Quando Charlie era al telefono con la sua consorte, non era raro sentirlo urlare sui se e sui ma, su chi e come, quando e perché che riguardavano lo Smilzo, il quale, in patria o all'estero, ne combinava sempre una.

Di tanto in tanto lo Smilzo faceva visita al paparino presso il suo ufficio all'interno dell'headquarter, e arrivava su di una utilitaria color violetto, tutta ammaccature e sverniciature, bozzi e cigolii, la parcheggiava in bella mostra davanti alla porta blindata dello Uaisipiei e poi entrava, in tutta la sua magrezza. Era così secco che più che un ragazzo, sembrava uno scheletro che camminava, ci si aspettava che scricchiolasse e implodesse. Aveva un'aria trasognata, forse più che trasognata diciamo pure assente, di chi non sa dove è stato e non sa dove andrà, Zoe più volte si era chiesta dove quel ragazzo avesse lasciato la materia cerebrale e relativi inquilini, cioè i cari e utili neuroni.

Proprio un giorno durante il quale Zoe era di turno serale, Charlie e consorte erano saliti al ristorante “Re Sugo” per una cenetta in santa pace, insieme ad alcuni ospiti. Quella sera tutto era tranquillo, anche perchè la presenza di Charlie faceva da deterrente, quando alla porta dell'headquarter Zoe vide comparire la spettrale figura dello Smilzo. Zoe aprì e con bei modi, salutò, e lo Smilzo con la solita aria di chi cade in questo mondo per la prima volta, le disse che sarebbe salito dal potente papà a prendersi le chiavi di casa, perchè lui, le sue, non sapeva dove cavolo fossero.
Zoe lo avrebbe volentieri mandato dall'onnipotente e ubiquitario genitore, ma si accorse che lo Smilzo indossava bermuda e infradito, che Charlie a quell'ora della sera aborriva come la peste.
Allora lo Smilzo chiese a Zoe il piacere di andare al posto suo, e Zoe acconsentì, pur di far filare tutto liscio.

Salì al piano superiore e attraversò il salone del ristorante, raggiunse la veranda dove Charlie sorseggiava un rum da meditazione insieme alla consorte ed alcuni ospiti, si avvicinò guardinga, e attese che Charlie finisse di parlare, poi, con un bel sorriso, si scusò del disturbo, ma Charlie la rassicurò:”Bambina rossa, lei non disturba mai!”...... Così Zoe si fece coraggio e chiese a Charlie le chiavi per il figlio, che, di sotto, attendeva pazientemente.
Charlie sbarrò gli occhi, si congestionò, tossì, mentre la sua dolce consorte si mise le mani nei capelli e così si espresse: “Oh Signore, le ha perse un'altra volta!!!”

Nella mente di Zoe suonò l'allarme rosso, ci fu un attimo di imbarazzo generale, tanto che anche Zoe fece uno sguardo periferico, sul modello militare, tipo “Signorsì signore!”
Charlie tirò fuori le chiavi e le porse a Zoe facendole questa raccomandazione: “Bambina rossa, ecco le chiavi, Le dia a mio figlio e gli dica da parte mia che è un FESSO!!!!!”
Se fosse stata una situazione diversa, Zoe si sarebbe smascellata dalle risate, ma non era certo l'occasione adatta, quindi si dette un tono solenne, prese le chiavi, scese e le consegnò allo Smilzo, ma si guardò bene dal riferire il resto del messaggio, considerando che le faccende di famiglia di Charlie non la riguardavano.
Dal canto suo lo Smilzo uscì, chiavi in mano, e poi ritornò cambiato di tutto punto, salì di sopra e rimase in compagnia dei divini genitori. Ma la faccenda non era chiusa.







ll solito delirio, ZOE parte settima

Quella sera la camera di Zoe era molto silenziosa; Zoe guardò il quadro con i cavalli, nella loro prateria tirava vento, e le criniere si alzavano, invece le canne di bambù della sua tappezzeria non le parlavano. Non sibilavano, non cantavano.

Il cavallo di fuoco che aveva dipinto sulla porta della sua stanza appariva più caldo a guardarlo nella penombra, le tapparelle si scuotevano leggermente, tirava un po' di vento e lei era avvolta dal buio e dal silenzio, per compagna solo la solitudine

Era forse annoiata? La NOIA, santi numi che parola odiosa! Non poteva definirla sentimento, piuttosto quella sensazione che si annida dentro di noi quando perdiamo interesse per ciò che stiamo facendo, niente, o perché non stiamo facendo niente che ci distolga dal rimuginare sui nostri problemi, problemini, problemetti.

Lo ammetteva, era in questa situazione. Avrebbe voluto dare in escandescenze, dire cose senza senso, esser presa per pazza......Sarebbe stato un ottimo movente per dedicarsi in seguito alla profonda meditazione, per cercare cosa? In quel momento proprio non lo sapeva, ma avrebbe volentieri parlato con un vecchissimo saggio, di quelli che stanno su qualche inaccessibile montagna, lungi dalla vita frenetica del mondo, che guardano con distacco, senza lasciarsi trascinare nel turbinio delle emozioni.
Forse qualche risposta l'avrebbe ottenuta, o semplicemente avrebbe ascoltato le sue parole, avrebbe tratto delle conclusioni, e chissà, sarebbe stata in grado di ricominciare con una nuova filosofia di vita. Si sarebbe convertita? Avrebbe potuto fare un pellegrinaggio alla Mecca, a Gerusalemme, a dare delle sonore capocciate al "muro del pianto", una capocciata et voilà nuovi orizzonti!

Magari avrebbe potuto far finta di diruparsi dalla rupe di Leucade come aveva fatto Saffo (o come si raccontava...fuerunt). Era il caso che Zoe portasse le sue gambine, il suo cervello e relativi neuroni fuori controllo, a letto, a dormire e interrompere la fiumana di baggianate che stava non solo pensando, ma anche scrivendo.  Saggia risoluzione Zoe.


domenica 14 giugno 2015

Sotto il maglione niente, Scene dal Precariato lavorativo

Accanto alle scale che conducevano al piano superiore dello Uaisipiei, che si aprivano sul salone panoramico, c'erano due vetrine, nelle quali facevano bella mostra di sè, capi d'abbigliamento e accesori moda che erano in vendita ad uso e consumo solo degli ospiti di Charlie. I capi d'abbigliamento seguivano l'eterno andamento delle stagioni, perciò agli inizi della stagione estiva, Zoe sistemava in vetrina le belle polo a mezze maniche, i leggeri giacchini estivi (adatti alle prime uscite in barca), i gilet smanicati, i fermacravatte in argento, le camicie, i gemelli, gli orologi e i nuovissimi occhiali da sole con lenti che avevno caratteristiche diverse in abse algi sport praticati (da golf, da barca a vela, da barca a motore, da bicicletta).

Praticamente il prêt-à-porter per l'uomo di mare. Per contro verso la fine di Agosto, in vetrina prendevano posto i maglioni di cotone, i pullover di lana (trattata per resistere all'acqua), le giacche imbottite, le cravatte di seta. Zoe scoprì durante il suo periodo di permanenza allo Uaisipiei, che aveva anche buone doti di vendita, sia per la pazienza immane, sia per il suo infallibile occhio per le taglie, e anche perchè era sempre disposta a tirar fuori tutto e poi con pazienza a rimettere a posto.

Charlie aveva disposto che al desk si indossasse una divisa per il turno del mattino e una per il turno serale. Era un uomo dal gusto raffinato, quindi aveva deciso che per la mattina si indossassero un paio di pantaloni a sigaretta blu, un modello casual tipo jeans, e una polo azzurra a maniche corte, mentre per la sera aveva voluto una camicetta bianca con piccole maniche bombate, foulard di seta e pantaloni blu di foggia femminile. 

Ora non era raro  che le consorti degli ospiti di Charlie chiedessero di poter acquistare gli stessi capi che vedevano addosso a Zoe, e nonostante quest'ultima cercasse di dissuaderle poichè si trattava di una divisa, le signore imperterrite continuavano la loro cantilena. Charlie, che aveva le orecchie come quelle di un fennec, sentiva tutto anche quando era in giro per l'headquarter, e quando si spazientiva nel sentire il ciarlare insistente di queste matrone, diceva: "Inutile che insista cara signora, lei non farebbe la stessa figura con quegli abiti!". Che uomo Charlie, non lo dimeticherò mai, era così bravo ad alimentare la mia vanità.

Una bella mattina di Settembre, Zoe stava sistemando i nuovi arrivi invernali, fra cui degli splendidi maglioni paricollo in lana merino, blu navy, costa inglese, quando passò uno degli ospiti di Charlie, un bell'uomo dagli occhi azzurro cobalto, alto e snello, che chiese a Zoe di poter provare uno dei pullover. 

L'occhio clinico di Zoe misurò il fascinoso signore e propose una taglia xl. Sulle prime il distinto (o almeno così sembrava) ospite, espose la sua reticenza a quella taglia che per lui era troppo ampia, ma la provò lo stesso, notando invece che gli calzava a pennello. "Vede che avevo ragione?" disse Zoe "Lei ha le braccia lunghe, perchè è un longilineo, potrà mettere anche una camicia sotto il maglione, per i primi freddi". 

L'astuto ospite di Charlie la guardò intensamente, poi si tolse il maglione e comunicò a Zoe che ne avrebbe presi due, uno blu navy, l'altro avorio. E mentre Zoe li piegava accuratamente per riporli nelle loro rispettive buste, il predatore si appoggiò con i gomiti al banco, guardò Zoe e disse: " Sai cara Zoe? Penso che questo maglione blu starebbe molto bene addosso a te, ma senza niente sotto"
" Ne sono certa" rispose Zoe, guardandolo appositamente con aria trasognata " ma di sicuro non per i suoi occhi". 

" Se avessi ventanni di meno cara Zoe non mi sfuggiresti" replicò l'audace. " Ma lei non solo  ha ventanni di più, ma non rientra nel range dei tipi che mi sconfinferano caro signore, grazie per  l'acquisto e arrivederci"



sabato 13 giugno 2015

La settimana equina, Zoe parte sesta

Zoe era rientrata da quella che lei  chiamava "la settimana equina", una settimana che aveva passato al Podere Manzinello, presso il suo istruttore di equitazione Claude e famiglia. Era stata una settimana davvero emozionante. La mente si era riposata,   il fisico aveva ceduto alla stanchezza, ma lei era tanto, tanto tempo che non si sentiva così viva e partecipe.

Era stata una settimana calda, molto calda, e lavorare al maneggio era stato sfiancante, la sera Zoe non vedeva l'ora di andare  a letto, addirittura la stanchezza le aveva fatto passare l'appetito....era tutto dire.

Eppure aveva respirato ogni istante, ogni attimo della giornata alla Ginestra e delle ore al podere.
Ogni mattina verso le cinque, una rondine entrava nella stanza di Zoe e roteava sulla sua testa, per darle il buongiorno e la buona levata, poi volando, si avvicinava al viso di Zoe che sdraiata a letto aveva aperto gli occhi al suo garrire, si guardavano un pochino, poi Zoe si alzava e la rondinella tornava ai suoi voli.

Al maneggio si lavorava duramente, ci si divideva fra i box da rifare, la preparazione dei pastoncini per i cavalli, le lezioni di equitazione, la gente che andava e veniva. Poi c'erano gli allenamenti, e vai a montare almeno cinque cavalli al giorno, ma che soddisfazione!
Fortuna che il suo istruttore, non le aveva lasciato il tempo di abituarsi nuovamente alla vita di casa, l'aveva chiamata nuovamente, perché aveva bisogno di una mano, e Zoe avrebbe potuto stare con tutta la famigliola equestre e i cani Duda, Gastone e Alfred.

Le spiaceva solo che i giorni sarebbero trascorsi velocemente e che sarebbe poi dovuta partire per assistere ad una laurea, e di sentire tutti quei discorsi pieni di vento non aveva voglia. La sua laurea le sembrava ormai passata da tanto e non le aveva dato tutta questa importanza.
Sapeva che avrebbe dovuto assistere a tutta una serie di recite con tanto di comparse e canovacci per la regia del papà della laureanda. Tutti quei discorsi pieni di vento, quella retorica che non portava a nulla, quel bla bla bla inutile che non aveva nulla di costruttivo. Sapeva inoltre che avrebbe dovuto discutere con F. i perché e i percome di quello che secondo F. era il suo comportamento indifferente e privo di sentimento, ma Zoe era certa di questo: stare con il suo cavallo non aveva prezzo, perché con lui si sentiva appagata, amata, protetta. Non aveva intenzione di stare  un giorno di più, con il caldo opprimente, ad aspettare chi? Zoe sapeva che dietro il mal celato sentimentalismo di F. e il suo falso spirito di sacrificio, faceva capolino una natura egoistica che pretendeva solamente di essere accontentata e servita in ogni suo capriccio.

Ma lei non era nata per abbassare la testa e a quel tipo di rapporto non si sarebbe piegata mai, se lei bastava a F., F. non bastava a lei, che aveva bisogno anche di altro, di momenti in cui voleva stare sola con se stessa, con le sue cose, con i suoi animali, senza che nessuno cercasse di entrare in quella sfera così intima e privata, a meno che non lo avesse voluto lei stessa.

Ma lui non lo capiva e lei andava in bestia, soprattutto quando lui pretendeva di mettersi dalla parte della ragione, e parlava ex chatedra sblaterando principi e argomenti di cui non sapeva nemmeno il significato. Lui non era capace di stare da solo con se stesso, forse perché non aveva niente su cui riflettere, o forse perché non aveva niente da dire a se stesso, o forse perché i neuroni del suo cervello erano in sciopero, ma che poteva farci Zoe? Più volte lo aveva invitato a riflettere sui suoi desideri, sui suoi obiettivi, sulle sue priorità, ma invano. Questa volta sarebbe stata più breve del solito, lo avrebbe invitato a studiare un po' di filosofia, così avrebbe messo in moto quella parte del cervello che è adibita al ragionamento e che giaceva nella sua testa completamente arrugginita e inutilizzata.

Così facendo Zoe aveva messo in moto il meccanismo che decretava l'inizio della fine di quel rapporto, avvizzito come un frutto secco, e lei non intendeva avvizzire con esso.  Ormai si avviava verso il mondo del lavoro, F. doveva ancora laurearsi e ancora si beava fra i corridoi della facoltà, accusandola di pensare solo a cercarsi un posto di lavoro. Zoe avrebbe pagato a caro prezzo l'essere coerente con se stessa e con i suoi principi, ma ancora non lo sapeva.


sabato 6 giugno 2015

Domus - Zoe

Dalla cucina giungevano le voci di mamma e della zia che parlavano, la televisione in salotto era accesa, nonno la stava guardando. Mamma quella mattina si era svegliata con una tremenda allergia che le aveva quasi deturpato il viso, era stanca e stressata, e Zoe come al solito non sapeva che pesci prendere.

Ma sarebbe mai stata in grado di decidere autonomamente? Chissà.
Quel giorno l'aria aveva quell'odore particolare che le metteva addosso la solita frenesia di andare a passeggiare nei boschi, come del resto faceva da sempre, ed era difficile resistere alla tentazione di piantare tutto e avventurarsi per Valli. Di lì a poco sarebbero sbocciate le viole e il loro profumo si sarebbe diffuso nella sua anima.

Ma quell'anno nulla avrebbe fermato Zoe, sarebbe andata a fare violette e non avrebbe guardato l'orologio; si sarebbe regolata con il sole (cosa che in verità le era sempre riuscita meglio che guardare un quadrante con lancette). La primavera era una di quelle stagioni che le aveva sempre fatto sentire i suoi effetti. Infatti in quel periodo che andava da Febbraio a Maggio, Zoe entrava in una nuova dimensione di vita, come faceva la natura stessa. Sarebbe stata ore a respirare quell'aria celestina e vivificante come se fosse stato un prezioso unguento capace di guarire qualunque malattia e sconfiggere persino la morte.

E ogni volta in quel periodo rimpiangeva qualcosa. Quell'anno rimpiangeva le vacanze estive che non sarebbero più state "l'otium sine voluntate", ma periodo di intenso studio. Sarebbe stato un sacrificio enorme per Zoe, preparare gli esami universitari della sessione estiva e invernale, ma come sempre aveva fatto, si sarebbe adattata anche a questo, una delle sue prerogative era proprio questa: essere flessibile.

Scrivere tutto ciò era liberatorio, la mano scorreva sicura inforcando la penna, strumento che trascrive l'idea e la rende, per così dire, concreta e viva. Erano le parole forse, la degradazione di un pensiero nato perfetto. Quelle di Zoe erano banali riflessioni sul quotidiano che la circondava, ma nonostante la loro piccolezza, ogni volta che si trovava a rileggerle, sorrideva. Il suo quotidiano cambiava, ma i pensieri rimanevano immutati, come le pareti rocciose di una montagna.

Si riprometteva di non leggere mai a nessuno le sue riflessioni, credeva fermamente che in questo modo avrebbe mostrato il suo lato debole, il fianco scoperto alla spada. Pensò che aveva conosciuto persone che, nonostante un'esistenza segnata da problemi tali da far desiderare di non esistere, avevano una voglia di vivere e un modo di porsi di fronte alla realtà che era stupefacente per chi come lei, si trovava spesso con la testa fra le mani. Sapeva che la vita andava accettata per quello che era e che in primis era necessario essere sempre se stessi, costasse quel che costasse, senza maschera.

Lei lo era, ma a che prezzo? Una cosa era certa, ogni volta che si sarebbe sentita a terra, ogni volta che avrebbe avuto un problema, ogni volta che avrebbe voluto piangere, che sarebbe scoppiata di rabbia e ogni volta che qualcosa non sarebbe andato secondo le sue aspettative, avrebbe pensato a qualche bel ricordo, ad un momento felice, uno di quei momenti in cui le sue vene erano state attraversate da endorfina pura o da una scarica di adrenalina. Era convinta che ne avrebbe attinto la forza per andare alla RISCOSSA (come il suo eroe Sandokan) e di esser capace di lottare, combattere, fino all'ultimo giorno, fino all'ultimo respiro, perché solo la morte avrebbe potuto stroncare quella guerra che iniziava all'alba di un nuovo giorno. 

Metteva in gioco la VOLONTA', da forgiare, da battere come il ferro caldo nelle mani del fabbro. E quando proprio avrebbe creduto che non sarebbe riuscita a farcela avrebbe letto queste parole:
" Procedi con calma tra il frastuono e la fretta, e ricorda quale pace possa esservi nel silenzio. per quanto puoi, senza cedimenti, mantieniti in buoni rapporti con tutti. esponi la tua opinione con tranquilla chiarezza e ascolta gli altri: pur se noiosi e incolti, hanno anch'essi una loro storia. Evita le persone volgari e prepotenti: costituiscono un tormento per lo spirito. Se insisti nel confrontarti con gli altri, rischi di diventare borioso e amaro, perché sempre esisteranno individui migliori e peggiori di te. Godi dei tuoi successi e anche dei tuoi progetti. Mantieni interesse per la tua professione, per quanto umile: essa costituisce un vero patrimonio nella mutevole fortuna del tempo. Usa prudenza nei tuoi affari, perché il mondo è pieno d'inganno. Ma questo non ti renda cieco a quanto vi è di virtù: molti sono coloro che perseguono alti ideali e dovunque la vita è colma di eroismo.
Sii te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti. Non ostentare cinismo verso l'amore, perché per di fronte a qualsiasi delusione e aridità, esso resta perenne come il sempre verde. Accetta docile la saggezza dell'età, lasciando con serenità le cose della giovinezza. Coltiva la forza d'animo, per difenderti nelle calamità improvvise. ma non tormentarti con delle fantasie: molte paure nascono da stanchezza e solitudine. Al di là di una sana disciplina, sii tollerante con te stesso. Tu sei figlio dell'universo non meno degli alberi e delle stelle, ed hai pieno diritto d'esistere. E, convinto o non convinto che tu ne sia, non v'è dubbio l'universo si stia evolvendo a dovere. Perciò sta in pace con Dio, qualunque sia il concetto che hai di lui. E quali che siano i tuoi affanni e aspirazioni, nella chiassosa confusione dell'esistenza, mantieniti in pace con il tuo spirito. Nonostante i suoi inganni, travagli e sogni infranti, questo è pur sempre un mondo meraviglioso. Sii prudente. Sforzati d'essere felice" (Baltimora 1692).


mercoledì 3 giugno 2015

Ho messo la macchina..... - Scene dal precariato lavorativo

Era una splendida mattina di Agosto, il cielo era terso e il mare lievemente increspato da una brezza leggera. Charlie era fuori in barca per il weekend, e quindi tutto l'headquarter risuonava solo di trilli e gridolini degli ospiti che si beavano di bagni di sole e abluzioni in acqua. Zoe era indaffarata al desk, fra ospiti che andavano e venivano, documenti da archiviare, circolari da spedire.


Ma poteva un tale momento di serenità durare a lungo? Il due di picche era in agguato, avvezzo com'era all'arte venatoria, infatti quella calma dorata fu spezzata improvvisamente dall'arrivo di due attempate signore, che, dopo aver scosso selvaggiamente la porta dell'headquarter perchè ignoravano l'esistenza del campanello, entrarono e si misero di fronte al desk.

Zoe le salutò con grazia e gentilezza, mentre osservava il loro buffo abbigliamento, tutto pizzi e svolvazzi, farpali e fiori, ma più di ogni altra cosa Zoe si chiese come facessero a camminare con decollétée con tacco senza calze considerando l'età e la tipologia di piede, ma non fece in tempo a rimuginare su questo perchè fu investita da un'acutissima esclamazione: "Ma buongiorno bella "ragassa", abbiam prenotato l'armadietto numero uno!"

I decibel di quella voce erano così alti che Zoe ne fu spettinata, ma capì immediatamente che quelle erano le famose sorelle Ceramistioli, già note a Charlie per i loro bagni in piscina senza veli. Zoe prese immediatamente il registro degli armadietti e segnò appunto, l'affitto del numero uno, prese le chiavi e le consegnò, chiedendo se intendevano pagare subito o meno. Non l'avesse mai chiesto, la signora prese fiato, parecchio fiato e poi esordì così: "Pago con carta di credito bella "ragassa"!!" provocando un trauma ai timpani di Zoe che, per un po' di pace per i suoi padiglioni auricolari fece scivolare il pos sul banco del desk come se fosse una birra.

Ma non finì lì purtroppo, perchè l'arzilla e moderna Ceramistioli, interrogò Zoe su una questione che le stava molto a cuore: "Può dirmi bella "ragassa" se il nostro amato bagnino Mitch c'è? Dovrei chiedergli un piacere per mia sorella". Ovviamente Zoe confermò la presenza di Mitch, il coraggioso guardiano dell'incolumità degli ospiti, cosa che entusiasmò non poco la nostra soprano che continuò: "Vorrei che gonfiasse i braccioli per mia sorella e si bagnasse con lei, perchè ha difficoltà in acqua". 

Zoe le rispose che certo Mitch ne sarebbe stato entusiasta, e si offerse anche, pur di non ricevere altri traumi alle orecchie, di chiamarlo un momento perchè potessero accordarsi. Ma la nostra signora non aveva ancora finito e per essere ligia al dovere dichiarò il numero del posto macchina presso cui aveva parcheggiato la sua Golf rossa fiammante. "Ho messo la macchina al numero 65" urlò come se Zoe fosse dura d'orecchie. "No signora, i posti sono il 58, il 59, il 60 oppure quelli dietro lo stabile" rispose Zoe " La sposto immediatamente" e la svolazzante donnina e uscì.

Dopo poco fece ritorno e come se avesse un megafono in bocca : "Ho messo la macchina al 72". Un po' basita, Zoe replicò: "No signora i posti sono il 58, il 59, il 60 oppure quelli dietro lo stabile" e nuovamente: " La sposto subito". E via fuori dall'headquarter. Passarono almeno dieci minuti e la signora Ceramistioli tornò rinfrancata dicendo: "Ho messo la macchina al 55".
A Zoe venne il magone e le si strinse la gola (ma che aveva fatto di male?), riprese fiato, si calmò e ripetè: "No signora, forse mi sono spiegata male, i posti sono il 58, il 59, il 60 oppure quelli dietro lo stabile". Finalmente alla vispa donnina si illuminarono gli occhi, aveva capito!  "La sposto immediatamente!" 

Urrà, pensò Zoe, ce l'ho fatta, ha capito. Al ritorno, la beneamata con sicurezza e soddisfazione escalmò: "Ho messo la macchina al 56!". Noooooooooo, ma non era possibile, Zoe stava per cadere in una crisi nervosa senza pari, che fare? Come stimolare i neuroni arrigginiti di quella donna? Idea! "Fantastico signora, ma mi lasci le chiavi della macchina, sa, casomai arrivasse qualche altro ospite che avesse difficoltà a fare manovra".  E fu così che tutta felice, la signora Ceramistioli salì con la sorella a cercare il suo pupillo: il bagnino Mitch.


sabato 30 maggio 2015

La cameretta - Zoe

Zoe era nella sua stanza, la sua amata stanza, compagna inseparabile della sua esistenza e testimone degli eventi che le offriva spontaneamente la vita. Quella stanza, di Zoe sapeva tutto, conosceva la sua personalità, le  sue reazioni, i suoi umori, i momenti di tristezza e quelli di felicità, le crisi e le rabbie, le decisioni e le indecisioni, ma, sopra ogni cosa, quelle pareti non avrebbero rivelato niente di tutto ciò a nessuno.

Ogni oggetto della sua stanza aveva un valore e un posto speciale, cosicché, ogni volta che vi posava lo sguardo le tornava alla mente un ricordo. Ogni cosa occupava una precisa posizione e in quella posizione doveva rimanere, giusto per non rompere l'incanto.

Se anche Zoe andava indietro con la memoria, non v'era altro posto in cui avesse trascorso così tanto tempo come in camera sua. Era lì che si trasformava in principessa, e fra quelle quattro mura costruiva un castello di mille e più stanze, o, trasportata da un tappeto volante, si trovava nella magica e misteriosa Arabia, oppure nella foresta pericolosa e lussureggiante, alla scoperta dell'universo, nel buio dello spazio.

Proprio lì teneva i suoi sermoni educativi a scolari negligenti, lì curava i suoi figli, faceva la spesa e lo shopping, solcava il mare sulla sua barca, volava in aereo. Era proprio quella stanza che le aveva permesso di decidere del suo futuro, perché all'occasione diventava un "pensatoio", con tanto di cartello attaccato alla porta. 

Che buffo pensava Zoe, quella stanza era un minutissimo appartamento senza uso di cucina e senza bagno, da lì non si entrava e non si usciva senza il suo permesso. Se avesse potuto l'avrebbe rimpicciolita e portata via in ogni dove. L'avrebbe messa in campagna, su una dolce collina verde, come ve ne erano intorno a casa sua, così ogni mattina avrebbe aperto il finestrone all'odore della terra e degli alberi e sarebbe stata felice di questo. Avrebbe portato con sé il suo gattone Nur e il suo cavallo Lifar, e la sua monade sarebbe stata completa, mancava solo il suo Re. 

Non a caso infatti le pareti della sua camera erano rivestite da una carta da pareti che raffigurava canne di bambù, di cui Zoe amava ascoltare il canto. Del resto era esposta ad est ed il sole la inondava fin dall'alba. Adorava il sole che toccava lieve con i suoi raggi il suo letto, perché Zoe apriva pigramente un occhio e si guardava intorno, e compiaciuta notava che tutto era come doveva essere, si girava da una parte, poi dall'altra e faceva un lunghissimo sospiro. Che c'era di meglio che poltrire nel suo letto all'interno di camera sua? Accanto aveva i suoi libri preferiti, a portata di mano, bastava allungare un braccio e arrivava Karen Blixen, Merguerite Yourcenar, i classici di Luciano, Apuleio, Petronio, Catullo, Ovidio....

Sopra la sua testa invece, proprio appesi al lampadario, volteggiavano due aironi di origami, giapponesi, un regalo della sua amica di Tokyo. Anche loro erano dei simboli: libertà e vita. E poi sul mobile contro il quale poggiava la testata del letto, c'era lui, irrequieto, ombroso, selvaggio stallone rampante con la criniera folta e scompigliata, in equilibrio sui posteriori, come Lifar, e gli anteriori tutti sollevati in potenza, i muscoli in tensione fino allo spasimo, gli occhi vivissimi.
Forse tutta quanta quella camera in cui anche in quel momento si trovava Zoe, era un sogno, una bella illusione da lei creata, come tante altre, ma di tutte, la più reale, la più tangibile.
Illusioni perdute forse, che sarebbero state la culla del suo passato.




domenica 24 maggio 2015

Caro Bosley, su sto e sta l'accento non ci va - Scene dal precariato lavorativo

Charlie, l'unico, l'inimitabile, "ille Charlie" per latinizzare un po', era anche un cultore della lingua italiana. Parlava benissimo, anzi sapeva proprio parlare, mai una parola fuori posto, mai un concetto spiegato male, aveva un vastissimo vocabolario di parole, da uomo di cultura quale era. Ovviamente era anche un professionista quando scriveva, che si trattasse di argomenti di lavoro o meno.


Un purista come lui non sopportava sgrammaticature scritte o parlate, quando alle sue orecchie giungeva qualche storpiatura, fosse anche una parola pronunciata male, la sua espressione si mutava, come può mutarsi il tempo all'improvviso in certi luoghi della terra.
Zoe da questo punto di vista non aveva problema alcuno, ma altri membri dello staff dello Uaisipiei spesso incorrevano nelle ire del capo supremo: lui guidava un posto di classe, e non ammetteva che i suoi dipendenti sporcassero quel paradiso parlando come mangiavano (il rischio infatti era sentirlo urlare: "Anathema sit!" ovvero "Che sia esplusione!"). E' anche vero però che molti dei suoi ospiti parlavano peggio di come mangiavano e mangiavano male....
Ma, e c'è sempre un ma, purtroppo Bosley non sempre aveva scelto i collaboratori pensando anche alla cultura di base, compreso se stesso, e questo gli costò svariate lavate di testa, che alla fine, fecero fuori anche parte della sua capigliatura. Bisogna dire che a Charlie non sfuggiva mai nulla, nemmeno la mancata punteggiatura all'interno di una mail, che ovviamente non mancava di far notare all' asino di turno, e il "mea culpa" con relativa cenere sparsa sulla testa e lamentazioni incluse da parte del condannato, erano quasi all'ordine del giorno.
Se Charlie era di buon umore, capitava che lasciasse correre, ma questi piccoli miracoli non accadevano quasi mai. Una mattina, mentre Zoe era intenta a dare ad un affezionato ospite di Charlie alcune informazioni relative all'uso dei parcheggi, vide con la coda dell'occhio Charlie che si avvicinava alla porta dell'headquarter, il volto simile a fosca notte. In una frazione di secondo Zoe pensò che un uragano era in avvicinamento, e, con una velocità pari solo a quella di Flash Gordon, aprì la porta nell'istante esatto in cui Charlie aveva appoggiato la mano sulla maniglia.
"Brava la mia bambina rossa, sempre attenta!" urlò, sfondando i timpani di Zoe e del povero ospite che si trovava lì, il quale non osò proferire verbo, uso come era alle ire dell'Altissimo. 
Come una furia Charlie entrò nel suo ufficio brandendo uno dei suoi sigari, e sbatacchiò la porta con una tale violenza che i presenti pensarono cadesse, poi dalla sua sala dei bottoni urlò: "Bambina rossaaaaa, la pasticcaaaaaaaa!" Liscia come l'olio Zoe piantò in asso l'ospite e filò dritta nell'ufficio di Charlie con l'accendi sigari, mentre Bosley se ne stava zitto e fermo alla sua scrivania con la sua solita aria indifferente, fregandosene di tutto e tutti a meno che non si trattasse della tutela della sua persona.

Quando Zoe uscì dall'ufficio di Charlie, tutta odorosa  di tabacco cubano, anche Charlie uscì,  sputando il fumo del sigaro in ogni dove e affumicando gli astanti, Bosley incluso.
Poi proferì, con tono di voce degno di un tenore durante una delle sue migliori performance: "Bosley, ancora una volta ha dato prova della sua ignoranza della lingua italiana, mi chiedo come sia possibile scrivere delle mail di tal fatta, e l'ha anche inviata in copia a tutti i consiglieri! Le faccio presente che il modo condizionale si usa nella proposizione secondaria delle ipotetiche non nella proposizione principale e su "sto e sta" l'accento non ci va!!!!! Si può usare Mastercard per tutto, ma una scena così non ha prezzo.



La Riflessione di Zoe - parte terza

Il solo fatto che l'uomo avesse il dono di raziocinare, faceva desiderare a Zoe di non essere parte del genere umano, ma solo del mondo animale. Perché? Ma perché l'animale vive secondo l'istinto, e l'istinto lo guida e lo corregge in qualunque momento e fa sì che esso non sbagli mai, ma lo educa senza che l'animale rimanga deluso.

Invece il genere umano, grazie alla sua capacità raziocinante, ha anche questo vantaggio!
Che cosa è il raziocinio se non il metodo più immediato e meno costoso di complicarsi la vita? E in più è gratis!
La vita è l'avventura più rischiosa del mondo. Dal momento in cui si nasce, nel momento fatidico della nascita, inizia un'avventura che terminerà solo con la morte.
 
Ogni giorno che noi trascorriamo in questo pazzo mondo, è un grosso, enorme, punto interrogativo, è un imprevisto, mai una probabilità. Eppure se ci guardiamo attorno, tutto sembra procedere secondo programmi, orari, secondo il nostro ritmo e le nostre idee: non è vero.
Tutto procede secondo un oscuro disegno, una corsa inesorabile e inarrestabile, di cui non si conosce il fine.
 
Le sembrava persino inutile continuare a scrivere ciò che altri avevano già magistralmente descritto, ma del resto anche Zoe che viveva nell'anonimato del mondo, aveva diritto ad una sua opinione.
Stranamente Zoe guardava al futuro come ad una fonte che le avrebbe elargito abbondanti doni: serenità, felicità, tranquillità e soddisfazioni, mentre invece avrebbe dovuto essere più inquadrata, sognare di meno e lavorare di più, il futuro avrebbe dovuto costruirlo lei, con le sue mani.
Ciò che le scopriva anche l'ultimo nervo erano l'incertezza e l'insicurezza del futuro, perché non c'è niente di peggio dell'impotenza di fronte agli eventi e sentirsi   piccini piccini ed inesorabilmente inutili.
 
Si chiedeva cosa fossero i valori, quando la storia stessa le aveva insegnato che tutti ne avevano fatto volentieri a meno per portare avanti i loro progetti, per realizzare i loro scopi; quindi a che pro imbestialirsi? Perché guardare agli altri con la paura di essere giudicati, quando loro stessi non provano nemmeno a giudicare se stessi? Perché stare attenti a non offendere alcuno con qualche nostro atteggiamento se gli altri non si preoccupano minimamente del loro?
 
Difficile muoversi in un tale campo minato, non sarebbe più semplice una "satura lanx" (per capirci il piattino di primizie della terra destinato agli dei) e buonanotte suonatori? Non sapeva nemmeno lei che vita avrebbe voluto, ma di sicuro avrebbe volentieri eliminato i problemi. Forse voleva tutto e niente al tempo stesso, forse si contraddiceva allegramente come diceva Cicerone, o forse desiderava solo che la sua vita fosse ricca e attiva, attiva sempre in tanti aspetti, modi. Soprattutto il suo anelito era al mondo, a conoscere luoghi, popoli, tradizioni, modi , usi.... Aveva sete del mondo, di tutto il mondo e per il mondo, avrebbe voluto guardarlo dallo spazio e vederne i colori: il blu del mare, il verde degli alberi, il bianco delle nuvole.

domenica 17 maggio 2015

La Metamorfosi - Scene dal precariato lavorativo

Allo Uaisipiei era anche necessario fare un turno serale, per il controllo degli ospiti di Charlie che frequentavano il ristorante. Il controllo era molto rigido, c'era un apposito registro delle prenotazioni su cui venivano scritti i nomi e il numero dei partecipanti. Il controllo consisteva nel riconoscimento dell'ospite, nel verificare che il numero dei partecipanti fosse corretto, nell'obbligo di registrare su un apposito libro gli ospiti, in un rigoroso check dell'abbigliamento.

Charlie non ammetteva bermuda e infradito, jeans strappati (per quanto di moda, anche se provenienti direttamente da un atelier). Inoltre, vigevano ferree regole per i bambini, poco graditi nell'headquarter, tanto che Charlie aveva emanato una circolare nella quale erano specificate alcune semplici condizioni da rispettare (gli schiamazzi non erano tollerati in alcun modo) e perchè gli ospiti di Charlie le tenessero bene a mente, erano in ogni caso costretti a firmare un foglio su cui in grassetto, si assumevano la totale responsabilità delle azioni dei figli indisciplinati.

Zoe era appunto alle prese con il suo solito turno serale, che terminava alle 23:00 con la chiusura del desk, era stata come al solito rigida e irremovibile, aveva scrutato abiti e scarpe, fatto firmare circolari e libro ospiti. Passata la prima ondata di special guests, Zoe stava dedicandosi alle scartoffie burocratiche e alla sistemazione delle vetrine nelle quali facevano bella mostra polo, cinture, orologi con ben in evidenza il logo dell'headquarter,  che gli ospiti di Charlie acquistavano con grande cupidigia, pur di avere qualcosa di esclusivo da mostrare.
Mentre era intenta in queste sue attività, Zoe si sentì osservata, una sensazione la sua, più che una certezza dettata da qualche rumore o voce di sottofondo. Si voltò e alle sue spalle, uno degli ospiti di Charlie la fissava con grande interesse. Educatamente e con il sorriso (conditio sine qua non, era impossibile lavorare nell'headquarter), Zoe diede la buonasera e chiese all'ospite se aveva una qualche necessità. Il furbo individuo si finse interessato ad alcuni articoli della vetrina, chiese di vederli, si informò sul prezzo (prezzi lunari, ovviamente...), cercò di contrattare e in questo strano mercanteggiare, manco si fosse trovato all'interno di un suk, si mise a fare domande personali a Zoe, prima fra tutte il perchè dei suoi capelli rossi.

Zoe agendo sul rebelde, che soffiava come un muflone inferocito, cercò di contenere il nervosismo che le saliva al cervello, e con non chalance rispose che il colore dei suoi capelli aveva che vedere con la criniera del suo cavallo, poi continuò a fare il suo lavoro. Ma nulla, l'ospite di Charlie non si schiodava, la fissava con occhietti cupidi, e facendo un monologo, le vomitò addosso una valanga di domande, tutte attinenti alla vita privata di Zoe: gli studi che aveva fatto, dove aveva lavorato prima, domande alle quali Zoe rispose molto evasivamente.

Fu così che dettero vita al seguente dialoghino: "Senti Zoe, ma dove abiti?" - "Nella casa con la porta" rispose lei; " E da dove vieni?" - "Dalla vanedda del polverone"; " E come stai stasera?" - "Come estate così inverno" La situazione era veramente ridicola soprattutto per il ficcanaso che, paonazzo in viso e trasudante, aveva finito gli argomenti.

Fra una domanda e l'altra per Zoe era giunta l'ora di chiudere la segreteria e il desk, quindi mandò un allegro sms alle sue amiche che l'aspettavano per una fresca biretta nel loro localino preferito. Salì ad avvertire il team di Re Sugo che giù era tutto a posto e uscì. Svoltò l'angolo dell'headquarter e si diresse al parcheggio, che era poco illuminato se non dalle luci provenienti dalla veranda del ristorante, e, allegramente si infilò in macchina. Ma all'imprvviso vide un'ombra nera a fianco dello sportello che la fece sobbalzare e le procurò una violenta tachicardia..... Era il ficcanaso!

Zoe ebbe una violenta reazione: "Ma che diavolo ci fa qui? Mi ha spaventata a morte!". Per tutta risposta il ficcanaso le disse: "Non volevo spaventarti ragazza dai capelli rossi, ti volevo solo dire che l'ho visto sai come ti trasformi da segretaria in teenager, quel cellulare deve essere bollente!"
Il motore della macchina era già acceso, Zoe ingranò la retromarcia e sgommò via, lontano dal ficcanaso, verso la birreria, aveva proprio bisogno di una morbida birretta che le rinfrescasse la gola.


sabato 16 maggio 2015

Il cuore e la mente - Zoe parte seconda


Per Zoe la necessità di vagare con la mente era ancora più forte della ragione. Quale ragione? E che tipo di ragione? La ragione del CUORE o quella della MENTE? Era una riflessione ardua, molto ardua.
Bello sarebbe stato dividersi in due: cinquanta per cento da un lato, cinquanta per cento dall'altro.
Zoe rifletteva sulla differenza fra l'una e l'altra ragione. Non era facile da spiegare.
La ragione del CUORE non è per nulla RAZIONALE, se per razionale intendiamo categorie, schemi , spazializzazioni e temporalizzazioni. E' una ragione volubile e qualche volta effimera, nonché evanescente e perché no? Anche LATITANTE.
Purtroppo essendo volubile, pensava Zoe, la ragione del CUORE  sconvolge il normale funzionamento intellettuale e  fisiologico, provocando  stati febbrili e di agitazioni convulse. Non esiste cura, solo dare sfogo agli istinti per poi ottenere uno stato di calma dovuto a stanchezza ( o meglio, SPOSSATEZZA!).Gli stati d'animo della ragione del CUORE sono infiniti e vengono dall'Oceano delle Possibilità nel quale tuffiamo continuamente la nostra rete da pesca.
Per quello che concerne la ragione della MENTE, entriamo in un campo molto più lineare.
Tutto è semplicemente chiaro e lampante. Le azioni sono dettate dall'imperativo CATEGORICO della MORALE, senza forti emozioni: "πάντα ῥεῖ " (panta rei, tutto scorre) per essere precisi. Noi poveri mortali, che per nostra disgrazia stiamo nel mezzo, siamo sballottati qua e là, fra Scilla e Cariddi. E qualche volta capita di rimanere schiacciati nel mezzo alle due furie.
Zoe era ancora lì a chiedersi dove fosse finito Apollo. Non avrebbe potuto rallegrare la compagnia con un "DLEN DLEN" della sua cetra? Forse no, era meglio organizzare un bel baccanale e inneggiare a Dioniso per la ragione del CUORE, cantando per monti e valli: "εὐοῖ" (euòi, in italiano evoè grido di gioia delle baccanti). Si immaginava in testa corone di pampini e acini. Alla salute! Poi sarebbe arrivata quella guastafeste e ficcanaso di Atena con la sua inseparabile civetta Budur: finita la festa! Per lei queste perdite di tempo sono deleteree. Lei è nata dalla MENTE di papà Zeus. Zoe sarebbe andata a bere un po' di nettare, chissà......
ZzzzZZzzzzzZzzzzZZZZZzzzzzzzzzzzzzzzz Ops! Si era addormentata un'altra volta! La vita frenetica ed errabonda che le faceva fare Dioniso, la distruggeva. Guarda, l'Olimpo è di nuovo circondato da nuvole. Zeus è all'opera: vecchia volpe! Ma chi potrebbe resistergli del resto? Hei, Zoe, vedi cosa può combinare la ragione del CUORE? Non si sa mai dove inizia e dove finisce! Allora qual è il confine fra realtà e fantasia?

domenica 10 maggio 2015

ZOE

Sulla parete dove si accosta l'armadio, è appesa una bella fotografia, vi si vede la cupola blu di una chiesa dell'isola di Santorini, in Grecia. E' uno splendido tramonto d'oro rosso, a picco sul mare, attraversato da un ponte di diamante. Zoe respirava spesso quell'aria, aria di estati lontane e intense, di spezie orientali e canti antichi, di sonagli e feste in costume caratteristico, di notti di vento caldo e cieli stellati, di piccoli vicoli e case bianche, di palme.
Respirando quest'aria e tenendo gli occhi chiusi, Zoe si lasciava cullare nel luogo da lei privilegiato, e questo suo cullarsi in quell'aria era per lei tale, che a volte credeva realtà ciò che invece era un sogno disperato. Questo la scuoteva, tanto che al suo risveglio, vedeva attorno a sé le usate cose, quelle che riempivano la sua camera e il suo sogno così bello appeso al muro.

 
Non poteva dirsi un dolce risveglio il suo, ma era stato un viaggio gratis e questo per il momento le bastava. Il risveglio però, la lasciava sempre turbata per tutto il tempo, anche se faceva altro durante la giornata, era distratta, assente, a volte sospirava; il suo sguardo vagava ancora laggiù, in quell'oasi felice. Gli eccessi della sua anima vagabonda spesso la infastidivano. Zoe si guardava intorno, eppure di tutte le persone che conosceva, nessuna si perdeva come lei. Che fosse malata? Le sembrava di non essere riuscita a liberarsi da quel mondo che l'aveva sempre accompagnata dall'infanzia, e lo sentiva come un handicap, non riusciva  spiegarsi il perché di questa indissolubile unione tra fantasia e sogno, che le impedivano di vivere normalmente la realtà, come tutte le persone che la circondavano. Che cosa avrebbe potuto fare per mettere a posto le cose? Non sapeva da dove  cominciare perché forse non c'era neppure un inizio!
Le sembrava inutile persino parlarne, per paura di non essere capita, ma le domande si affollavano nella sua mente e la loro voce si faceva sempre più forte. Questo suo modo di essere avrebbe, in quale modo, condizionato la sua vita e le sue relazioni? Perché proprio lei? C'era una via d'uscita? E se sì quale?
Le pareva certe volte di sforzarsi, ma questo sforzo, in cui metteva tutta la sua volontà, le logorava la mente e dolori lancinanti la attraversavano. Girava lo sguardo e si chiedeva ancora una volta cosa ci facesse mai al mondo una come lei e quale fosse il suo ruolo. Avrebbe forse avuto una vita disgraziata a causa di questo suo essere? Era questo che più la preoccupava e in fondo in fondo aveva anche paura.
"Aiuto" diceva, "aiuto", ma le parole non le uscivano dalla bocca, non poteva muovere le labbra. E guardava, guardava e si sentiva lontana dagli altri che non la potevano sentire ed erano sempre più piccoli e sparivano pian piano dalla sua vista e lei voleva piangere, ma non le riusciva nemmeno quello. Stava impazzendo? No! Non voleva impazzire, che stava succedendo?

Zoe, Zoe, Zoe, diceva, ma Zoe non le rispondeva, ossia, voleva rispondere, voleva allungare una mano a se stessa e tirarsi su, ma si accasciava sempre di più. Sembrava che una mano misteriosa mettesse fra lei e gli altri un muro trasparente, ma insormontabile. Forse la sua unica fortuna era il fatto che era una grande idealista e questo le permetteva di pensare che avrebbe potuto cambiare la sua vita in meglio, e che sarebbe stata felice a lungo.


sabato 9 maggio 2015

Mi presteresti........Scene dal precariato lavorativo

Quando Charlie era presente, l'aria nell'headquarter era pesante, si poteva tagliare la tensione con un coltello. Bosley era perennemente sull'attenti, e aveva ragione, perchè Charlie trovava sempre qualcosa che non andava. Era una uomo colto Charlie, e la sua cultura trasudava da ogni poro, perciò le sue battute sagaci erano come le divine quadrella di Apollo, colpivano e abbattevano.

Fu proprio un giorno in cui Charlie trascinava Bosley in ogni angolo dell'headquarter, segnalando cattive manutenzioni, granelli di polvere, scortesia del team "Re Sugo" al ristorante che Zoe, al desk, stava controllando la lista delle prenotazioni che il ristorante le aveva fornito per il controllo serale, che avvenne un fatto che la sconvolse. Arrivò infatti un ospite fra i più temuti da tutto il personale, era il più potente e danaroso, forse anche più di Charlie stesso, accompagnato da una delle figlie.

Come da istruzioni ricevute da Charlie stesso, non gli si doveva chiedere nulla, lui poteva fare tutto quello che voleva. Così Zoe si attenne al copione, e lo ignorò, cosa che il Rockfeller in questione gradì oltre misura (contento lui, contenti tutti). Aveva parcheggiato la sua nuova Jeep acquistata dal corpo dei Marines e recante targa americana, proprio davanti all'ingresso dello Uaisipiei e, figlia al seguito, era salito al ristorante.
Poco dopo la "divina poppante" scese con in mano un bicchiere (contente, forse, un aperitivo) e una sigaretta accesa (il vietato fumare per lei non valeva un corno) si fermò al desk, guardò Zoe con aria assente senza dire verbo, poi aprì il buco dentato che aveva al posto della bocca per dire queste testuali parole: " Senti amore, hai mica da prestarmi un paio di mutande? "Prestare un paio di mutande?! Prestare?!!! Ma cos'era la saga dell'imbecille del giorno? Zoe deglutì, acconciò il viso alla meglio, dato che lo shock era stato notevole per i suoi neuroni e rispose: " Non ho mutande da prestare e non ne vendiamo qui".

La divina poppante non si scompose e replicò: " Non fa nulla amore, userò i fazzolettini del bagno" e, senza por tempo in mezzo, si infilò nella toilette delle signore lasciando la porta spalancata, mentre Zoe, con le lacrime agli occhi, tentava di accostare la porta per impedire che altri ospiti di Charlie, passando lì davanti, divenissero inconsapevoli spettatori di una scena raccapricciante. Con la stessa noncuranza con cui la divina poppante aveva dato vita a quel teatrino dell'assurdo,  così se ne tornò di sopra sorseggiando il cocktail e buttando la sigaretta nel wc, lasciando Zoe attonita e recitante la seguente preghiera: "Signore, proteggimi da chi mi perseguita e combatti tutti coloro che attentano alla mia salute mentale".


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