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venerdì 6 novembre 2015

La malva, il rimedio di Cicerone e Marziale

La malva, erba umile e agreste, fu tuttavia esaltata dalla scuola pitagorica come capace di grandi imprese: anche quella di liberare il corpo dalla schiavitù delle passioni. Senza arrivare a tanto, i medici concordano nell'affermare che un infuso di malva è eccelletnte per rimediare agli stati di infiammazione: coliche, cistiti, crampi, ascessi, mal di denti, mal di gola.

La malva agisce stendendo sul luogo del dolore la sua mucillagine, sostanze di cui è ricchissima , tenera, gelatinosa soave come una carezza. Per quanto ci si riferisce al sonno, dunque, la malva (Malva silvestris o rotundifolia) non potrà recar solievo se le turbe sono da imputare alla sfera delicata dell'anima e della psiche, ma solo quando si è resi inquieti da un malessere fisico.


La malva si può anche mangiare in minestre, frittate e in luogo degli spinaci. Cicerone e Marziale ne facevano gran uso, il primo per liberare il ventre pigro e restio (ufficio che anche l'infuso compie in modo eccellente) , il secondo per cancellare gli effetti di un'orgia.

Come racconta Virgilio, le capre malaticce brucano malva ad ogni pasto; i cavalli con la gastrite si giovano di un infuso di malva proporzionato alla loro taglia: 200 grammi di fiori e foglie in 5 litri d'acqua. Per l'uomo la dose è di 10 grammi in 5 litri d'acqua a bollore, cioè circa 1 cucchiaio di sommità fiorite (anche fresche) per ogni tazza.

In luogo della malva si può far uso della bismalva (Althea officinalis) ancor più persuasiva perchè è la due volte malva. Decotto di radici: 1 cucchiaino di frammenti per ogni tazza, far bollire 3-4 minuti. Il sapore non è strordinario: se si uniscono 2-3 frammenti di radice di liquirizia, le tisane di malva migliorano.


sabato 31 ottobre 2015

Hannibal ad portas

Annibale procurò non pochi grattacapi ai Romani, era un uomo ben determinato, che non si lasciò certo fermare dall'arco alpino, anzi, arrivò quasi a Roma.

Hannibal ad portas: Annibale alle porte. Cioè, il pericolo incombe, la situazione è disperata. Cicerone, Filippica I, 5,11. Si diceva a  Roma, dopo aver perduto la battaglia di Canne, nell'attesa angosciosa di venire assediati dai Cartaginesi. Tuttora viene usato per indicare un pericolo incombente.

mercoledì 30 settembre 2015

Animae dimidium meae

Se da un lato abbiamo visto il lato buontempone, quello giuridico dei latini ecco che oggi, forse ispirata da un sole splendido di Dicembre, mi sono ricordata di un adagio romantico, che molto mi colpì quando ero una studentessa liceale, infarcita di poesie e che mi è rimasto nel cuore.

Animae dimidium meae: metà dell'anima mia. Orazio, Odi, 1, 3, 8. E' questa un'espressione che si ritrova sia nei latini ( Cicerone, Epitulae ad familiares 7, 5, 1) che nei greci (Pitagora). Indica una persona talmente affine a un'altra da condividerne i tratti essenziali del carattere. 

Sono versi del cuore, da sussurrare alla persona amata o da scrivere su un biglietto anticato per accompagnare un regalo importante.
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